Per centrare l’obiettivo basterebbe non rinnovare il taglio del cuneo fiscale o trovare 15 miliardi

La Commissione europea ha iniziato la «procedura per deficit eccessivo» per sette Paesi dell’Unione tra cui Italia e Francia. Qualche commento in proposito.

 

Primo, la notizia era attesa dai mercati finanziari che per questo non hanno reagito. I Paesi in questione hanno avuto nel 2023 un deficit ben al di sopra della soglia del 3% del Pil e si prevede che rimangano sopra quella soglia anche per l’anno in corso. Con la riattivazione delle regole sui conti pubblici europei, dopo la sospensione dovuta al Covid e la loro riforma a inizio 2024 (che però ha confermato il tetto del 3%), l’apertura della procedura di deficit eccessivo era del tutto giustificata.

 

Secondo, il fatto che non ci fosse una vera “notizia” finanziaria non vuol dire che tutto fosse scontato. La novità è politica. Aprire una procedura d’infrazione per la Francia, con in corso una campagna elettorale di enorme importanza, dimostra che questa volta la Commissione non ha guardato in faccia nessuno, evitando di cercare pretesti per rinviare l’annuncio al periodo post-elettorale. Il plauso per questa decisione va ai vertici della Commissione, in primis al commissario Paolo Gentiloni e alla presidente Ursula von der Leyen.

 

Terzo, con la prossima legge di bilancio l’Italia, assieme agli altri Paesi in questione, dovrà iniziare a ridurre il proprio deficit muovendolo gradualmente sotto al 3% del Pil, per poi scendere, sempre gradualmente, all’1,5% nel medio periodo. Anche questo è richiesto dalle nuove regole. Puntare all’1,5% è necessario per lasciare uno spazio di manovra: in caso di una recessione, il deficit, partendo dall’1,5%, potrebbe salire senza violare nuovamente il tetto del 3%.

 

Quarto, la Commissione, in via riservata (secondo le nuove procedure), ha proposto al nostro ministero dell’Economia e delle Finanze, una traiettoria di aggiustamento per i prossimi anni. I media riportano che l’aggiustamento richiesto è dello 0,6% l’anno, un po’ più del minimo richiesto dalle nuove regole (0,5%), probabilmente alla luce del nostro elevato debito pubblico. Inizierà una negoziazione, da finalizzare dopo l’estate, ed è possibile che qualche sconto sia concesso. In ogni caso, nell’ultimo Documento di Economia e Finanza (il Def dell’aprile scorso), lo stesso Giancarlo Giorgetti scrisse che, partendo da un deficit nel 2024 del 4,3% del Pil il governo intendeva scendere al 3,6% del Pil nel 2025, con un calo dello 0,7%, più di quanto richiesto dalle regole europee. Peraltro, per raggiungere questo obiettivo sarebbe semplicemente richiesto di non rinnovare il taglio temporaneo del cuneo fiscale (contributi e Irpef) esistente nel 2024, oppure di trovare misure equivalenti a circa 15 miliardi. Il compito è fattibile, su un bilancio di oltre 1.000 miliardi di spesa pubblica. Ma ci eravamo abituati (dal 2020 in poi) a manovre che aggiungevano spesa all’economia, mentre qui occorre tagliare qualcosa, una difficoltà politica non indifferente per il governo.

 

Ultima considerazione. Portare il deficit all’1,5% del Pil nel medio periodo non è certo impossibile. Nel 2019, prima che iniziasse l’era di bonus e superbonus vari, il deficit era dell’1,6% del Pil. Si tratta quindi di tornare dove eravamo. Ci sarà comunque chi parlerà di austerità imposta dall’Europa e magari a farlo saranno proprio Lega e 5 Stelle che nel 2019 erano insieme al governo. Paradossi della politica italiana!