Pane a pane
Carlo Cottarelli: «Perché all'Europa conviene una difesa unica»
A fronte del possibile isolazionismo Usa e delle minacce russe, l’Unione deve coordinare le spese militari per ottenere risparmi e ottimizzare le risorse. Ma gli equlibri politici sembrano andare in un'altra direzione
Oggi vi parlo di un problema che per ora non ha una chiara soluzione. Parlo della questione della difesa dei Paesi dell’Unione europea alla luce di due sviluppi politici che sembrano probabili.
Il primo è il ritorno di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti che solo un miracolo può evitare, anche alla luce della prestazione di Joe Biden nel primo dibattito. Questo ritorno porterebbe a un maggiore isolazionismo americano. Della difesa dell’Europa da minacce esterne si dovrà occupare in primo luogo l’Europa stessa. Gli Stati Uniti si sono stufati di pagare per noi.
Non è cosa da poco visto lo stato delle forze armate dei Paesi dell’Ue. Non è che si spenda poco, ma si spende male. A dire il vero, la spesa militare non è elevatissima. Il rapporto tra la spesa militare dei 27 Paesi dell’Ue e il Pil dell’area è previsto all’1,9% nel 2024, contro il 2,5% alla fine degli anni ’80 e il 3,4% degli Stati Uniti. Ma rispetto alla spesa del Paese (la Russia) da cui si pensa possano arrivare le principali minacce il livello di spesa non è basso. Sono 360 miliardi di euro, molto più dei 110 miliardi della Russia, anche se correggendo il confronto per il diverso livello dei prezzi tra le due aree si arriva a livelli di spesa non troppo distanti tra Ue e Russia.
Le questioni però sono tre. Quella principale riguarda la frammentazione della spesa europea in 27 diversi Paesi. Questa frammentazione porta non solo a ovvie difficoltà di coordinamento a livello militare, ma anche a una duplicazione di funzioni, ad acquisti a prezzi più elevati in assenza di adeguate economie di scala, a una moltiplicazione degli armamenti disponibili. Nel 2017 la Commissione europea indicava che nell’Ue esistevano 17 diversi tipi di carri armati, uno negli Stati Uniti. La seconda questione riguarda lo sbilanciamento delle spese dei Paesi dell’Unione verso il personale a scapito della spesa per armamenti e, soprattutto, per operazioni ed esercitazioni. Negli Stati Uniti la spesa per il personale era nel 2023 il 27% del totale. Tutti i Paesi dell’Unione, tranne cinque, sono sopra a questo livello, con punte superiori al 60% in Portogallo, Italia, Grecia e Romania. Insomma, tanti marescialli e poche armi ed esercitazioni. La terza questione riguarda la dimensione delle nostre imprese militari. Il confronto con quelle russe è difficile, ma di certo le nostre imprese sono molto più piccole di quelle americane. Anche questo aumenta i costi e riduce le capacità di sviluppo.
Risolvere questi problemi richiederebbe definire a livello europeo una strategia congiunta per le forze armate dei Paesi Ue e, idealmente, tendere alla creazione di forze armate dell’Unione, realizzando il piano di cui si parla dall’inizio degli anni ’50. Come minimo si tratterebbe di cooperare meglio negli acquisti di armi, nella ricerca e nella loro produzione. E qui si arriva al secondo sviluppo politico: l’ascesa in Europa dei partiti nazionalisti che renderanno la cooperazione tra Paesi dell’Unione più difficile, anche in campo militare. Insomma, quando ci sarebbe bisogno di più unità a livello europeo per compensare il probabile maggior isolazionismo americano, si va invece nella direzione opposta. Non vedo una chiara soluzione a questo problema, a meno che ogni Paese europeo spenda individualmente, molto più di quanto sarebbe necessario se ci si muovesse insieme.