A otto anni dalla scomparsa, è più vivo che mai l'insegnamento del “Basaglia dei detenuti“. E la sua intransigenza sui diritti è di esempio per difendere i principi costituzionali dagli attacchi di oggi

Sono passati otto anni dalla scomparsa, il 29 luglio 2016, di Alessandro Margara. Lo ricordiamo come ogni anno a San Salvi, luogo simbolo di Firenze per il «Basaglia dei detenuti», grazie all’impegno della Società della Ragione e dell’Archivio Margara. È stato per decenni il magistrato di sorveglianza più amato, perché protagonista della stesura della riforma penitenziaria del 1975 e della legge Gozzini del 1986; nominato direttore generale del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria da Giovanni Maria Flick, è stato cacciato dopo un anno, sei mesi e 21 giorni da un ministro della Giustizia di sinistra, Oliviero Diliberto.

 

La lettera di Margara al ministro, a seguito del suo licenziamento in tronco del 1° aprile 1999, è una netta condanna della cattiva politica «che vede la deriva dei frammenti spezzati delle idee di solidarietà, di attenzione alle varie aree del disagio sociale, riassunte nel carcere, che tutte le raccoglie e che procede alla rottamazione di quelle idee in cambio di un modello nuovo di zecca di città senza barboni e con galere fiammanti». E rivendica invece una politica riformista che sceglie di «dialettizzare sicurezza e trattamento, cercare di gestire la contraddizione, ribadire che il carcere non deve essere il luogo dell’ozio e del vuoto, ma deve essere vivo, non il luogo dell’isolamento e della negazione della socialità, ma quello che vuole ricostruirla». Guardando allo stato delle carceri oggi, la lettera di Margara è un documento profetico.

 

Margara era capace di ironia sferzante. Una volta riscrisse l’articolo 27 della Costituzione secondo le idee espresse dall’allora ministro Angelino Alfano: «Le pene possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono limitarsi, senza altri scopi, a contenere il condannato per il tempo necessario all’esecuzione della pena». Non si poteva immaginare che la sua provocazione sarebbe diventata realtà in una proposta di legge della presidente del Consiglio e di un sottosegretario alla Giustizia.

 

La crisi del carcere non nasce oggi, è il frutto di timidezze e di paure di governi di segno diverso.  Margara affronta la questione in uno scritto del 2014, “Punti interrogativi”, che può essere considerato un testamento politico e morale, pubblicato nell’antologia “La Giustizia e il senso di umanità”. Sono undici punti da cui ripartire per arrestare la tragedia del sovraffollamento, di cui è responsabile la guerra alla droga, e per interrompere lo stillicidio dei suicidi, che testimoniano la mancanza di senso di una detenzione senza speranza.

 

Molte battaglie sono state vinte grazie al pensiero di Margara, dalla istituzione della figura del garante dei diritti dei detenuti al superamento del manicomio criminale. L’ultima vittoria è la sentenza della Corte costituzionale del 2024 a favore del diritto all’affettività e ai colloqui riservati dei detenuti, già previsti nel Regolamento carcerario del 2000, opera dello stesso Margara. Il 29 luglio, perciò, si parla di come sviluppare in carcere relazioni positive e di come difendere i diritti. Ma anche del carcere fiorentino di Sollicciano e del suo stato di abbandono, senza dimenticare che in esso vive il bellissimo Giardino degli Incontri, luogo simbolico di apertura a una diversa socialità dei reclusi. Ci servirà l’intransigenza di Margara per contrastare gli attentati di oggi alla Costituzione.