Il Terzo Polo è fallito, ma le posizioni centriste si rivelano fondamentali negli schieramenti opposti. E devono farsi carico delle istanze di chi chiede l'estensione dei diritti

Va da sé che la politica balneare ha altre priorità. Nondimeno, a dispetto del “Generale Agosto”, viene da domandarsi cosa ne è della cultura politica liberale in questo nostro Paese. E, dunque, i liberali servono comunque alla politica italiana a dispetto dell’inefficacia elettorale del terzo polo affondato dai personalismi a tal punto da autosabotarsi nelle Europee (e non riuscire a eleggere nessun parlamentare)? La risposta è sì.

 

E lo dimostra, in questo contesto di ripristino di un bipolarismo di fatto (sebbene sempre alquanto incompiuto), il ritorno della questione della “gamba centrista” nei due schieramenti. Con Forza Italia alle prese con un rilancio che punta a posizionarla quale casa comune dei moderati presso i delusi dalla deriva del Terzo Polo. E dove le parole pronunciate da Marina Berlusconi alcune settimane fa - «Se parliamo di aborto, fine vita o diritti Lgbt, mi sento più in sintonia con la sinistra di buon senso» - hanno ovviamente lasciato il segno anche in questa direzione.

 

Sull’altro versante, dove lo spostamento a sinistra è stato marcato (portando risultati), i vertici Pd, a partire dalla sua segretaria, si stanno ponendo il tema in maniera esplicita - anche perché, come evidente, non si va al governo del Paese senza poter contare su una quota di voti centristi. La profferta di Matteo Renzi, dopo l’ormai celebre - e non casuale - foto dell’abbraccio con Elly Schlein alla “Partita del cuore” contro la Nazionale cantanti, sconta non pochi problemi interni ed esterni a Italia viva, ma sta tutta dentro questa logica. Nel frattempo, a ulteriore riconferma della necessità di un’anima anche riformista per le sinistre, arrivano vari e rilevanti segnali a livello internazionale, dalla Gran Bretagna alla Francia.

 

Delle battaglie per i diritti civili e individuali in Italia si è appunto fatta carico la sinistra, svolgendo una funzione che - come per la difesa complessiva dei principi costituzionali - non può (e non dovrebbe) rimanere soltanto sua. Si tratta infatti di un compito nobile (e doveroso), ma che nella polemica quotidiana consente a una destra maggioritaria che continua a mostrare l’intenzione di non voler diventare normale (ovvero liberalconservatrice) - e alcuni dei cui settori cavalcano da tempo l’ulteriore spinta estremista e reazionaria dilagante in Europa - di sostenere che i diritti sono «roba di sinistra» e «da comunisti». Giustappunto, l’ennesima anomalia dell’«eccezione» italiana (dalla Resistenza in avanti).

 

Al momento si rivela difficile immaginare che dalle simil-macerie presenti possa risorgere un tonico e competitivo progetto terzopolista. Ma di fronte alla dilagante ondata sovranista e finto-moralizzatrice esiste l’esigenza di una cultura politica liberale trasversale alle coalizioni e agli schieramenti. Perché il ruolo del liberalismo (malauguratamente minoritario nella storia nazionale) dovrebbe oggi essere quello di testimoniare l’importanza dei diritti per tutti e tutte, a partire dall’assunto che la loro estensione a coloro che non ne hanno nulla toglie a chi già ne beneficia, contrariamente alla retorica di una destra sempre più regressiva e retrotopica. E, così facendo, i liberali renderebbero ancora più lampante tutto il loro capitale politico.