Personaggi e interpreti

«Se Forza Italia vuole diventare la nuova Dc, il banco di prova è lo ius scholae»

di Sebastiano Messina   26 agosto 2024

  • linkedintwitterfacebook

Se il partito riuscisse a tenere il punto sulla cittadinanza, marcherebbe la differenza da destra e da sinistra sui diritti civili. Ma sarà disposto a sfidare gli alleati e a far cadere il governo?

Immaginiamo la scena. È giovedì pomeriggio e i trolley dei deputati sono già allineati nel corridoio di Montecitorio. Il presidente Lorenzo Fontana legge con evidente fastidio il titolo della proposta di legge che sta per essere votata: «Nuove norme sulla cittadinanza».

 

Il testo recita che «acquista la cittadinanza italiana il minore straniero, che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età, che risieda legalmente in Italia, qualora abbia frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli scolastici». È quello che tutti ormai chiamano ius scholae. «Favorevoli 214, contrari 182, astenuti 4. La Camera approva», proclama lentamente Fontana, scuro in volto, mentre dai banchi della Lega gridano «vergogna!» e Giorgia Meloni lascia l’aula dopo aver fulminato con lo sguardo i deputati di Forza Italia, gli alleati che l’hanno tradita.

 

Fantapolitica, naturalmente. Ma quanto può diventare realistico questo scenario, adesso che Antonio Tajani – vicepremier e leader di Forza Italia – si è schierato a favore della riforma? Sulla carta adesso i numeri ci sono. E l’approvazione di una legge così importante sarebbe di sicuro una vittoria per il fronte progressista, che negli anni in cui era al governo non è mai riuscito a portare fino in fondo questa riforma. Per Tajani invece sarebbe il segno che Forza Italia ha piantato la sua bandiera nel territorio ormai deserto del centro. Se l’operazione riuscisse, sarebbe la prima volta dal tramonto della Democrazia Cristiana che un partito con una solida base elettorale marca la sua differenza dalla destra e dalla sinistra, e su un tema delicatissimo come quello dei diritti civili.

 

Ma il ministro degli Esteri è il primo a sapere che né Meloni né Matteo Salvini potrebbero mai subire uno smacco così clamoroso. Sin dalla fondazione del suo partito (ricordate il blocco navale contro gli sbarchi?) la premier ha fatto dello stop agli immigrati il suo cavallo di battaglia. E oggi, dopo quattro viaggi in Tunisia per promettere centinaia di milioni di euro al furbo presidente Kais Saied e dopo aver garantito altri 670 milioni all’Albania per ospitare i migranti approdati in Italia, ha potuto far annunciare al ministro Matteo Piantedosi che in un anno gli sbarchi sono diminuiti del 62 per cento. Sulla stessa linea c’è Salvini che cinque anni fa toccò l’apice del suo successo (34,3 per cento) dopo aver interpretato la parte del supereroe che fermava con ogni mezzo, prima che raggiungessero i porti italiani, le navi cariche di migranti, un’esibizione muscolare sopra le righe per la quale ancora oggi è sotto processo nei tribunali siciliani.

 

È dunque la paura dell’immigrato la risorsa numero uno di questo governo. È il terreno sul quale né Meloni né Salvini possono accettare una sconfitta. È davvero ipotizzabile, realistico e credibile che Forza Italia decida di sfidarli, a costo di rompere la maggioranza e far cadere il governo? E sarà capace il successore di Silvio Berlusconi di convincere i suoi parlamentari ad affrontare un braccio di ferro che potrebbe portare a nuove elezioni? Il dubbio è lecito, visto che lo stesso Tajani si è affrettato a precisare che «la riforma della cittadinanza non è all’ordine del giorno dell’attività di governo». Sapremo presto, dunque, se il progetto di fare di Forza Italia la nuova Dc è stato solo il sogno di una notte di mezza estate.