L’esplosione dei cercapersone e dei walkie-talkie di membri di Hezbollah, pianificata da Israele, è solo l'ultimo esempio dei metodi spicci e senza scrupoli utilizzati nei conflitti. Una deriva che non possiamo accettare

L’esplosione dei cercapersone e dei walkie-talkie dei miliziani di Hezbollah costituisce un evento senza precedenti. Le cinquemila microbombe di questa «pesca esplosiva a strascico» sono servite a vendicare l’onore dell’intelligence israeliana incapace di scongiurare gli attacchi dell’«ottobre nero», ma non hanno sortito nessun effetto strategico decisivo, coinvolgendo anche tanti libanesi incolpevoli.

 

Nonostante Usa e Francia lavorino per una de-escalation, Benjamin Netanyahu prosegue inesorabile sulla strada dell’allargamento dei fronti del conflitto, perché la guerra rappresenta, in tutta evidenza, la sua polizza per rimanere aggrappato al potere.

 

Il mondo è pieno di “Stati canaglia”, e malauguratamente pure, sempre di più, di nazioni democratiche intenzionate a condurre le guerre con metodi che oltrepassano ogni ragionevolezza. Spingendo, così, la loro azione al di là delle colonne d’Ercole della civiltà, e regalando dunque anche argomentazioni (per quanto speciose) a chi esercita quotidianamente la barbarie.

 

Se, come si vede appunto in Medio Oriente, Israele - il solo Paese democratico dell’area, nel quale, infatti, settori importanti della società civile scendono da tempo in piazza contro il governo di estrema destra populista - varca ogni limite e abolisce le “regole di ingaggio”, per quanto sempre precarie, che le istituzioni internazionali hanno da tempo provato a codificare nella conduzione delle attività belliche, dove si va a finire? E come si potranno difendere le già compromesse e criticatissime ragioni delle liberaldemocrazie occidentali di fronte ai regimi autoritari e alle dittature a cui si continuano a regalare assist insperati?

 

Dalla guerra d’Indocina e d’Algeria (per la Francia) a quella lunghissima del Vietnam (per gli Stati Uniti), si è storicamente imposta l’efficacia delle tattiche di guerriglia, al cui cospetto gli eserciti tradizionali, per quanto enormemente più potenti, arrancano. Data l’impossibilità di praticare il conflitto classico della modernità - à la von Clausewitz -, quello “perimetrato” dello scontro tra eserciti degli Stati-potenze, anche le democrazie, in varie occasioni, hanno deciso di «togliersi i guanti» (o, per meglio dire, ogni loro parvenza). E la risposta, via via affinata e resa sempre maggiormente spietata, è stata quella della guerra asimmetrica, nel cui ambito le morti dei civili diventano degli «effetti collaterali», fino ad acquisire proporzioni inusitate e di massa come a Gaza.

 

La dottrina strategica della controinsurrezione, dispiegata in Iraq dal generale David H. Petraeus, aveva il volto presentabile del tentativo di migliorare la collaborazione con le popolazioni locali. Ma le pratiche confermano la direzione della guerra totale, che mira a prosciugare i punti di forza del nemico, colpendo a 360 gradi anche il suo sistema socioeconomico. I droni minimizzano le perdite in vite umane delle armate tecnologicamente avanzate dell’Occidente liberaldemocratico - e da parecchio, infatti, è scattata la corsa a usarli delle autocrazie -, ma non prevedono scrupoli etici nel falciare «accidentalmente» gli innocenti che incrociano il target.

 

Ecco, ce lo aspettiamo purtroppo da Putin, dagli ayatollah e da Hamas, ma proprio per questo non può essere il “costume” delle nostre democrazie.