Opinioni
20 ottobre, 2025I medici radiati all’estero per fatti gravi che continuano a esercitare in Italia sono un rischio per i pazienti
Quando un medico radiato in Gran Bretagna per aver abusato sessualmente di pazienti torna in Romania e riprende a esercitare come se nulla fosse, il problema non è solo suo. È del sistema che glielo permette. In Italia quel sistema si chiama Ordine professionale.
L'inchiesta internazionale coordinata dal network Occrp con The Times di Londra, la norvegese VG e altre 50 testate di 45 nazioni, tra cui L'Espresso con Paolo Biondani, ha rivelato oltre cento casi documentati di medici banditi in un Paese che continuano a esercitare in un altro. Quattordici di loro lavorano in Italia.
Non si tratta di omonimie o sviste burocratiche. I medici in questione hanno provocato danni gravi o gravissimi ai pazienti. Radiati all'estero, da noi possono ricominciare, gettandosi alle spalle l'ingombrante passato. Possono farlo perché il sistema di controlli ha delle falle che si traducono in una cancellazione di memoria. C'entra il difetto di comunicazione tra Stati, le zone d'ombra di legislazioni non uniformi. E c'entra l'inerzia di organismi che confondono la cautela doverosa con la complicità.
C'è un confine sottile tra tutela della professione e difesa corporativa. Ed è su quel confine che gli Ordini professionali italiani perdono la rotta. Nati per garantire etica e competenza, si sono trasformati in autorità distratte che dosano le sanzioni con parsimonia eccessiva. Che confondono il diritto alla difesa con il diritto all'impunità.
Il risultato è che, anche quando un professionista è stato radiato altrove, il sistema chiude un occhio. O entrambi. La giustizia ordinistica italiana è lenta, opaca, riluttante persino alla sospensione cautelare. Un medico bannato all'estero ha già avuto un giudizio di inidoneità e non si capisce come sia possibile sorvolare impunemente. Nel frattempo, i pazienti restano esposti. E ignari.
In Gran Bretagna, Norvegia e Svezia i registri disciplinari sono pubblici e consultabili online. Chiunque può verificare se il medico che lo sta curando ha tutte le carte in regola. In Italia, invece, le delibere disciplinari restano riservate, la privacy del professionista vale più della sicurezza del paziente. Un rovesciamento di priorità che tradisce la ragione stessa per cui gli Ordini esistono. Per i 14 medici inibiti all'estero e ancora in camice in Italia non sappiamo se gli Ordini siano stati informati delle radiazioni, se abbiano verificato, se abbiano anche solo posto domande. Perché ciò che non è pubblico non esiste.
La piattaforma europea di scambio informazioni dovrebbe garantire che le radiazioni vengano comunicate tra Stati membri. Ma l'inchiesta ne rivela l'inefficacia sistematica. Malta non ha mai radiato un medico. Nell'isola sono tutti irreprensibili, oppure nessuno controlla.
Gli Ordini professionali italiani non vanno aboliti. Ma vanno riformati nel profondo, restituendo loro la funzione originaria: essere presidio di garanzia pubblica, non fortini corporativi. Servono trasparenza obbligatoria sulle decisioni disciplinari e misure tempestive di fronte a casi gravi. Un Ordine che non vigila, che non comunica, che lascia esercitare chi è stato bannato altrove, smette di essere strumento di garanzia e si trasforma in alibi. Nel fortino autoreferenziale si consuma non solo la credibilità delle istituzioni, ma la sicurezza dei cittadini. Dove finisce la trasparenza, comincia il rischio.
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