Opinioni
21 ottobre, 2025L’iter sul decreto Sicurezza e il conflitto di attribuzione rappresentano uno spartiacque
Il decreto legge Sicurezza rappresenta uno spartiacque per il funzionamento del Parlamento e l’esistenza della democrazia per le caratteristiche liberticide presenti nei 38 articoli con quattordici nuove fattispecie di reato e numerosi aggravamenti delle pene per i reati previsti. Per questo gli ex presidenti della Corte Costituzionale e oltre 257 giuristi lanciarono vanamente un appello per fermare una deriva inconcepibile. Tutto questo fa parte della nuova Costituzione materiale: decreti legge esaminati solo da un ramo del Parlamento e uno o due voti di fiducia.
La novità assoluta in questo caso è rappresentata dalla sospensione dell’esame del disegno di legge con gli stessi contenuti, approvato dalla Camera dei deputati e all’ordine del giorno del Senato nella seduta del 15 aprile.
Inopinatamente il Consiglio dei ministri del 4 aprile 2025 delibera per la decisione a favore del decreto legge che viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l’11 aprile con il numero 48. È evidente che non esistevano le ragioni di necessità e urgenza richieste dall’art. 77 della Costituzione, tanto più che il Senato avrebbe approvato immediatamente il disegno di legge, ben prima del completamento dell’iter della conversione del decreto. Molti si sono interrogati sui motivi di questa scelta (tralasciando le ridicole dichiarazioni del ministro Piantedosi sulla lentezza del Parlamento), dalla necessità di propaganda per il congresso della Lega alle incertezze sul voto di alcuni emendamenti dovute a contrasti interni alla maggioranza.
Sono invece convinto che la ragione di questa forzatura avesse un carattere di vera svolta autoritaria, cioè nel voler dimostrare che il governo può fare tutto, rendendo evidente la cancellazione del Parlamento. Un messaggio di violenza istituzionale a cui ha risposto solo Riccardo Magi, segretario di +Europa, sollevando un conflitto di attribuzione contro il governo davanti alla Corte costituzionale per la lesione delle prerogative del Parlamento.
Ora la Corte è investita di una questione delicatissima e nei prossimi giorni sarà decisa l’ammissibilità del ricorso. Avrebbero dovuto porre la questione i presidenti di Camera e Senato, ma la loro latitanza è un altro segno del degrado delle istituzioni. È comunque assodato che il conflitto possa essere sollevato da un singolo parlamentare quando abbia subito un’evidente menomazione delle sue attribuzioni, e nel caso in cui la lesione venga da un potere esterno al Parlamento.
Siamo di fronte a un colpo di mano (o di Stato?) del governo e l’equilibrio dei poteri può essere ripristinato solo dalla Consulta.
Il costituzionalista Michele Ainis ha stigmatizzato che si trasformi in delitto la resistenza nonviolenta, che si inventino nuovi tipi di omicidio e si aggiunga poi il femminicidio, «una ennesima affermazione del diritto penale simbolico», come ha denunciato l’Unione delle Camere penali. Per non parlare della legge che trasforma la maternità surrogata in un reato «universale». Se la Corte deciderà per l’ammissibilità del conflitto di attribuzione, sarà un passo importante per affermare la dignità del Parlamento, per giungere alla cancellazione della delibera del Consiglio dei ministri e quindi del decreto. Siamo di fronte a una partita decisiva per l’affermazione dello stato di diritto. Occorre manifestare solidarietà alla Corte Costituzionale perché non subisca pressioni o ricatti.
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