Opinioni
21 novembre, 2025L’esecutivo partorisce pasticci. Che tocca poi al Capo dello Stato provare a rimediare
La sete di propaganda del governo e della maggioranza è inesauribile. L’8 marzo era stata l’occasione per una legge sul femminicidio, il 4 ottobre per stabilire la festività nazionale in onore di San Francesco d’Assisi. Quel giorno era già prevista la solennità civile per Santa Caterina da Siena, quindi una coabitazione foriera di grande confusione che era stata inutilmente segnalata dall’ufficio studi del Senato. Purtroppo la fretta e la demagogia trovano l’accordo di tutte le forze politiche.
Così il presidente Mattarella si è trovato di fronte a un pasticcio inestricabile. Ha scelto ancora una volta la strada della firma della legge con l’invio contestuale di una lettera ai presidenti delle Camere per chiedere le necessarie modifiche. Per la quinta volta è ricorso a questa pratica, spesso accompagnata da azioni di moral suasion, perché «i rilievi non riguardano profili di natura costituzionale».
Si ripropone un nodo che va chiarito per il buon funzionamento tra i poteri istituzionali. L’art. 74 della Costituzione prevede che il presidente della Repubblica, prima di promulgare una legge, possa, con un messaggio motivato alle Camere, chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere obbligatoriamente promulgata.
Mattarella ha confessato pubblicamente di avere adottato decisioni che non condivideva in molte occasioni, in particolare promulgando una legge che riteneva «sbagliata, anche inopportuna», perché approvata dal Parlamento e sostiene che solo in presenza di leggi «manifestamente incostituzionali» può esercitare quella facoltà. In realtà si tratta di una interpretazione del presidente Ciampi che è diventata un’abitudine. Peraltro, ricordo che nel gennaio 2006 molti invitarono l’allora presidente a non firmare la legge Fini-Giovanardi, che segnò una ulteriore torsione proibizionista sulle droghe. Si trattava di un colpo di mano del governo con l’inserimento del testo dell’intera revisione della legge antidroga in un decreto legge sulle Olimpiadi a Torino. Invece, si è dovuto aspettare il giudizio della Corte Costituzionale nel 2014 per vedere cancellata quella legge ideologica che, come risultato, riempì le carceri di consumatori di sostanze leggere e pesanti. Questo esempio mostra che l’allora presidente avrebbe dovuto esercitare, opportunamente e in piena correttezza, i poteri previsti dalla Costituzione.
Mattarella sostiene che, con il potere di non promulgazione, c’è il rischio che il presidente assuma un ruolo politico o che invada la funzione della Corte Costituzionale. Sul primo punto si può obiettare che la sollecitazione al Parlamento di riflettere attraverso un messaggio motivato ha un carattere istituzionale e comunque lascia il Parlamento libero di votare nuovamente il testo; sul secondo punto va precisato che la Consulta può intervenire solo nel caso in cui venga sollevata una eccezione, dopo che gli effetti deleteri di una legge incostituzionale si sono manifestati. Che il problema esista è testimoniato dalla novità introdotta da Napolitano: la promulgazione «con dissenso», una pratica che però non risolve il problema.
In conclusione: meglio tornare al dettato della Costituzione e adottare la frase di Franco Basaglia E mi no firmo, quando si rifiutò di avallare le contenzioni nel manicomio di Gorizia.
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