Opinioni
24 novembre, 2025Il classico espediente da commercio del consenso annunciato in Campania, al record di abusivismo
Mentre la premier si dimena sul palco elettorale del Palapartenope intonando con Antonio Tajani cori da osteria anticomunista, il suo partito serve la promessa del condono. Si tratta di un emendamento di Fratelli d’Italia alla legge di Bilancio che riapre la sanatoria edilizia del 2003. Ovvero, una delle portate più succulente e tossiche al buffet del consenso. Preparato sull’orlo del precipizio di un Paese sfregiato dall’incuria e dall’abusivismo.
L’ennesima leccornia utile a prendere per la gola l’Italia dei furbi, fatta da un’eterogenea massa di indignati a corrente alternata. Buona a predicare legalità e lesta a scavarsi un privé di favore nel quale nascondersi con i propri peccati.
Se le prime gocce di pioggia bastano a rivelarci il volto di un Paese fragile, costruito troppo e male, i dati raccontano che 4 dei 10 edifici tirati su al Sud sono fuorilegge. E in Campania si sfiora la metà.
Non abusi di necessità a cui non si crede più per sentenza di Cassazione, ma speculazione pura. Da terra di rapina. In un’Italia che nel 2024 ha consumato altri 78 chilometri quadrati di suolo. Lasciando che le mafie divorino la fetta più ambita di parchi, oasi e aree archeologiche. E demanio. A cominciare da quello marittimo.
Mille e più giustificazioni terminologiche si aggiungono alla lista della fantasia burocratese quando si tratta di presentare il piatto, mascherandone gli ingredienti. Fino alla sorpresa dell’ineffabile ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che non trova differenze tra questa sanatoria e quella per i migranti irregolari, sostenuta delle opposizioni.
Intanto, solo a evocarlo, il condono edilizio produce altri abusi. Crescono, prosperano, si moltiplicano nell’attesa di quello che la destra, imbarazzata per le premesse, ma allettata dal potenziale effetto, chiama ora «riordino», «riapertura dei termini», «sanatoria tecnica». Chi viola la legge anticipa quella che verrà. Conviene ed è una scelta vincente. Sempre e comunque.
I tre condoni italiani hanno riversato nelle casse di Stato e Comuni 21 miliardi. E altrettanti, secondo stime, sarebbero arrivati se le pratiche non si fossero incagliate nei meandri di enti locali incapaci di mandarle avanti. Neppure, dunque, il digestivo di un effettivo ristoro per la disastrata dispensa pubblica, serve a mandar giù il boccone.
Anche in questo, l’annunciata delega alle Regioni che dovranno mettere a punto modi e tempi del condono, assomiglia a una pochade da autonomia d’accatto. Demanda altri compiti a quelle stesse realtà non in grado di assolvere i precedenti. Inabili a mettere in moto le ruspe se la percentuale degli abbattimenti delle costruzioni insanabili è rimasta inchiodata sotto il 16 per cento.
Il tempismo della promessa della nuova sanatoria alla vigilia del voto in Campania è così sfacciato e tracotante da tradire perfino un’angoscia: l’emorragia di consensi in favore della fin troppo disinvolta base ritrovatasi intorno a Roberto Fico. Sembra più una disperata parentesi tra le parole “tu intanto votami”. Un patto postdatato, uno scambio a efficacia differita da pranzo sospeso. Che apparecchia il territorio come una tavola imbandita. Che apre nuovi appetiti.
E svela di che pasta sia fatta quella certa idea di Paese che preparano nelle cucine di governo.
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