Opinioni
7 novembre, 2025Le decisioni che riguardano la vita di milioni di persone le prende un uomo solo e le comunica via social
Ormai da troppo tempo il diritto internazionale sembra essere diventato un concetto elastico, piegato e umiliato dai rapporti di forza tra i diversi attori in gioco. Puntualmente, sempre più spesso, la legge del più forte si impone in ogni disputa, in ogni guerra, condizionando le trattative diplomatiche. Lo dimostrano i fatti, ogni giorno, da un capo all’altro del Pianeta.
Eppure ci eravamo abituati a un’altra idea di mondo. Dopo le macerie del Novecento, le Nazioni Unite, la Convenzione di Ginevra, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e la Corte penale internazionale erano apparsi a tutti come strumenti indispensabili e preziosi per garantire giustizia, pace e sicurezza.
Oggi invece quegli strumenti appaiono svuotati, ignorati o delegittimati da chi, proprio in nome della “sicurezza”, li aggira o addirittura li sospende.
Una tremenda accelerazione si è avuta nel febbraio 2022 con l’invasione russa dell’Ucraina. Da allora, l’uso della forza è tornato a essere la lingua dominante della politica internazionale. Poi, il 7 ottobre 2023, il pogrom di Hamas e la successiva, smisurata vendetta di Israele su Gaza hanno ribadito che, anche nella definizione di tregue e cessate il fuoco, il diritto vale solo se coincide con l’interesse del più potente. Infine, dieci mesi di “dottrina Trump” hanno reso la lezione ancora più chiara: le decisioni che riguardano la vita di milioni di persone le prende un uomo solo, tra lo Studio Ovale e Mar-a-Lago e vengono annunciate con un tweet.
Tutto il resto – Nazioni Unite, diritto internazionale, organismi multilaterali – appare sempre più ridotto a pura scenografia.
L’impressione è che le grandi superpotenze – Stati Uniti, Cina e Russia – si stiano muovendo verso un nuovo riallineamento, una sorta di “concerto a tre” destinato a ridisegnare gli equilibri globali. In questa partita l’Europa appare sempre più marginale, spettatrice impotente di una transizione in cui il linguaggio del diritto lascia spazio al linguaggio della forza.
La stessa offensiva americana contro istituzioni come la Corte penale internazionale o l’Oms, l’uscita dagli accordi di Parigi sul clima, l’insofferenza verso Onu e Nato non sono solo colpi di testa, ma diventano i tasselli di una vera e propria strategia.
E se da decenni l’Onu è un’istituzione svuotata, ora si sta toccando il principio stesso che dovrebbe reggere la convivenza globale: quello che vieta di usare la guerra come mezzo per risolvere le controversie. Quel principio scolpito anche nella nostra Costituzione. Oggi, invece, si pretende che la guerra sia “giusta”, “necessaria”, persino “etica”.
Che senso hanno allora la Legge, lo Stato, la Giustizia, la Democrazia, la Convivenza se, in ultima analisi, chi possiede la forza economica o militare decide tutto, nonostante tutto? Il compito dei giuristi, delle istituzioni, della società civile, e quindi di tutti noi, è ricordare che il diritto internazionale è un baluardo da difendere. Tornare alla legge del più forte significa cancellare tutto questo, rinnegare la civiltà stessa.
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