Opinioni
11 dicembre, 2025Gli Stati repubblicani, diversamente dalla Casa Bianca, contrastano lo strapotere delle corporation
"Eppur si muove” qualcosa nell’America trumpizzata, fra la New York lib(eral)-rad(ical) di Zohran Mamdani e le neogovernatrici dem centriste di Virginia e New Jersey.
Buone notizie per tutti coloro che pensano che la democrazia liberale negli Stati Uniti abbia disperatamente bisogno in questo momento di checks and balances e della separazione di quei poteri che si saldano illecitamente sotto la regia trumpista.
Ma l’orizzonte politico-ideologico e culturale – al pari di gran parte dell’immaginario – degli Usa contemporanei risulta saldamente ancorato a(ll’estrema) destra; e, dunque, le “contraddizioni in seno” al variopinto schieramento che sostiene il presidente sono da guardare con molta attenzione.
Un fronte che si rivela, infatti, sempre più esposto a tensioni e fibrillazioni, tra le quali Trump si destreggia dando un colpo al cerchio e uno alla botte. Ma lasciando trasparire in maniera palese come l’high-tech costituisca per una molteplicità di ragioni – dalla salvaguardia del primato globale alla sfida sistemica con la Cina – l’obiettivo principale; e, pertanto, il favore ultimo del presidente va ai suoi esponenti.
Una priorità dell’agenda dell’attuale Casa Bianca a cui Trump non vuole e non può rinunciare, ma che finisce per entrare in frizione con una situazione che si sta surriscaldando – seppure senza che questo, al momento, si traduca in un’insidia per l’establishment reazionario che continua a stringere la sua presa sulla società e le istituzioni americane.
Da qualche tempo, il populismo Maga, che ha identificato in Trump il proprio campione, vede affacciarsi delle ondate di opinione e dei sentiment che increspano la superficie in precedenza granitica del gradimento nei suoi confronti.
Nessuno stravolgimento, ma qualche preoccupazione, dall’affaire Epstein all’insurrezione di una ex pasionaria e beniamina, la complottista Marjorie Taylor Greene, che si è dimessa dal Congresso. Per giunta, quella politica estera su cui Trump sta puntando parecchio non funziona come catalizzatore di consensi. Ma questa è, appunto, l’anima profonda ultranazionalista e sovranista dei seguaci Maga, fedeli al “presidente-Joker” al punto da considerare chi si permette di criticarlo come un portatore di disturbi mentali e, al tempo stesso, assai intransigenti su quel pacchetto di questioni che proprio il tycoon ha spregiudicatamente coltivato nel corso degli anni.
E, dunque, si sta ora assistendo a una nuova frattura con la tecnodestra. L’arcipelago Maga possiede, infatti, una vena neoluddista, e nutre uno spiccato fastidio – come da originarie radici populiste – nei riguardi dei miliardari e dei “plutocrati” che, in questa fase di capitalismo digitale, coincidono con i padroni di Big Tech, gli stessi a cui Trump si mostra molto sensibile.
La “guerra dei mondi” era già scoppiata sui visti e le green cards per gli immigrati qualificati necessari alle corporation tecnologiche; e adesso gli Stati repubblicani guidati da governatori Maga introducono ostacoli legislativi alla realizzazione sul loro territorio dei data center e invocano a gran voce una regolamentazione dell’Ai, scontrandosi nei fatti con l’Amministrazione federale.
Il “mito politico” populista all’assalto della narrazione transumanista: il tutto dentro lo stesso universo.
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