Opinioni
11 dicembre, 2025L’aumento dell’Irap non è una soluzione, soprattutto se il governo punta a ridurre la pressione fiscale
Una quindicina di anni fa, a seguito della crisi finanziaria globale del 2008-09, il G20 chiese al Fondo monetario internazionale di avanzare proposte su come il settore finanziario avrebbe potuto fornire un “contributo giusto e sostanziale” per coprire il costo della crisi che questo settore aveva causato. Il compito di preparare questo rapporto venne assegnato al dipartimento del Fondo che dirigevo all’epoca (il Fiscal affairs department). Questo nel giugno del 2010 rispose alla richiesta pubblicando un rapporto (“A fair and substantial contribution by the financial sector”) che proponeva, oltre a una imposta per coprire i costi della crisi, l’introduzione, a livello mondiale, di una Financial activity tax (Fat).
La Fat era motivata da un’osservazione: il settore finanziario mondiale era cresciuto nei precedenti decenni molto più rapidamente dell’economia “reale”, e questo anche perché sottotassato rispetto agli altri settori. Il rapporto notava che tutti i settori economici che producevano beni e servizi erano sottoposti all’Iva (imposta sul valore aggiunto), mentre il servizio di intermediazione finanziaria (prendere a prestito soldi dai risparmiatori e prestarli agli utilizzatori finali del risparmio) non era soggetto a Iva. Applicare l’Iva al settore finanziario era tecnicamente complicato, ma si poteva fare una cosa equivalente: mettere una tassa sulla somma di profitti e stipendi pagata dalle banche, visto che profitti e stipendi equivalgono al valore aggiunto del settore. Questa sarebbe stata la base imponibile della Fat.
La Fat, quindi, era nella sostanza quella che in Italia chiamiamo Irap. Questa lunga introduzione per spiegare perché, in linea di principio, non trovo strano che il governo abbia scelto, tra le altre cose, questa strada per aumentare la tassazione su banche e assicurazioni nella manovra 2026. Avendo proposto io stesso una tassa del genere, come posso dissentire? Ci sono però in pratica motivi per essere critici. Primo, il settore finanziario italiano aveva già un’Irap maggiorata e non si capisce perché questa debba aumentare solo perché le banche hanno, in questo momento, profitti elevati. Se si voleva introdurre una specie di tassazione progressiva sui profitti di impresa, allora la maggiorazione doveva riguardare tutti i settori.
Secondo, c’era già un accordo raggiunto l’anno scorso sulla tassazione delle banche e c’era un accordo anche per quest’anno che il governo intende rivedere. Cambiare le carte in tavola crea incertezza, non soltanto nel settore finanziario, ma in tutti i settori. Certo, in situazioni di emergenza, misure inattese diventano necessarie. Ma non mi sembra che siamo in una situazione di crisi, casomai è un malessere sottostante (bassa crescita) che va risolto con riforme, non con misure d’emergenza.
Terzo, la Fat, nella nostra proposta, si sarebbe applicata ai sistemi finanziari di tutti i principali Paesi. Penalizzare solo il settore finanziario italiano rende le nostre imprese finanziarie meno competitive rispetto a quelle degli altri Paesi.
Tutto sommato, non mi sembra una grande idea, soprattutto per un governo che fa della riduzione della pressione fiscale uno dei suoi cavalli di battaglia. “Eh, ma queste sono tasse pagate dalle banche!” Ma sempre di tasse si tratta e vedremo poi se a pagarle non saranno i clienti delle banche, famiglie e imprese.
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