Opinioni
23 dicembre, 2025La loro ricetta è pura demagogia. Ma da sinistra rari e isolati gli appelli a occuparsi di sicurezza
Una sera arriva la notizia: Josè Antonio Kast ha vinto le elezioni presidenziali in Cile. Uno si domanda: ma chi è questo Kast? Poi va a leggere, e scopre che è un nazionalista di destra. Seguace di Trump, di Milei e di Meloni. E soprattutto ammiratore di Augusto Pinochet: «Se lui fosse vivo – diceva – voterebbe per me». E allora allo stupore si aggiunge lo sconcerto. Perché quel Paese ha una storia che ha segnato anche la nostra. È il Cile nel quale l’11 settembre del 1973 il presidente Salvador Allende fu assassinato nel palazzo presidenziale dall’esercito golpista. È il Cile dove il dittatore Augusto Pinochet, appoggiato dalla Cia, represse il dissenso ordinando l’uccisione di tremila oppositori. È il Cile degli Inti Illimani, con i quali noi ventenni di sinistra cantavamo in coro che «el pueblo unido jamas serà vencido» nutrendo con quella musica la speranza che prima o poi la democrazia si sarebbe presa la sua rivincita. E adesso, cinquantadue anni dopo, veniamo a sapere che la rivincita se l’è presa questo allievo del generale golpista che ha vinto – anzi ha stravinto: con il 58 per cento dei voti – sbaragliando al ballottaggio la candidata di sinistra, dopo aver battuto al primo turno i conservatori e i populisti.
Volete sapere come diavolo è potuto accadere? Beh, date un’occhiata al suo programma. Rimpatriare con la forza i 350 mila migranti illegali, alzare un muro per proteggere il confine, sguinzagliare forze speciali che daranno la caccia agli stranieri irregolari e via di questo passo. Ancora una volta, dunque, anche nel Cile che è uscito dalla dittatura il vero motore elettorale della destra è il rifiuto dell’immigrato. Una volta i conservatori vincevano promettendo legge e ordine, o una trincea contro il comunismo, o la difesa dei valori della tradizione, o il ripristino dell’autorità e dell’obbedienza, o la piramide Dio Patria e famiglia. Oggi promettono di cacciare gli stranieri che hanno invaso il Paese, anzi la Nazione. E vincono. O guadagnano consensi rapidissimamente, pronti a vincere al prossimo giro. È successo in Argentina con Javier Milei, in Ungheria con Viktor Orbàn, nella Repubblica Ceca con Andrej Babis, in Slovacchia con Robert Fico, in Italia con Giorgia Meloni e soprattutto negli Stati Uniti – diventati il Paese capofila del sovranismo mondiale – con Donald Trump. La stessa cosa, se il trend delle ultime elezioni continuasse, potrebbe succedere in Gran Bretagna, in Francia, in Spagna e in Germania. È quella che è stata definita “l’onda nera”, un movimento sponsorizzato da Trump e da Musk che punta ad affondare l’Unione europea.
Di fronte a un evento epocale come la migrazione di massa dai territori più poveri verso i Paesi dove si vive meglio, la destra raccoglie dunque voti promettendo di ripristinare la sicurezza messa in pericolo dagli “invasori”. Poi, certo, si rivela del tutto incapace di risolvere il problema, ma intanto vince, mentre la sinistra fatica quasi ovunque a dare su questo tema una risposta che vada oltre la giusta difesa dell’integrazione. Anche in Italia, salvo voci isolate come quella di Walter Veltroni. Il quale ha avvertito sul Corriere che quello della sicurezza è un tema che va sottratto alla demagogia. «Esso riguarda, la sinistra dovrebbe finalmente capirlo, gli strati più deboli della popolazione: gli anziani, chi vive nelle periferie, chi prende i mezzi pubblici. E poi le donne, che vivono con la paura di uscire da sole la sera». Un appello coraggioso. Rimasto finora inascoltato.
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