L'ho detto più volte: la riforma della Pubblica Amministrazione (Pa) è la madre di tutte le riforme. L’Italia ha lavoratori, dirigenti e imprenditori di grande qualità e volontà ma è sempre stata frenata dall’eccesso di burocrazia e dall’inefficienza della Pa (parlo di medie; ci sono sempre le eccezioni). Eccesso di burocrazia significa troppe regole, troppi passaggi burocratici, troppi enti che devono dare il loro parere perché qualcosa si muova. Secondo il Ministro della Pa Zangrillo, le pmi subiscono fino a 122 controlli all’anno da parte di 19 enti pubblici diversi. Il costo complessivo per le aziende è stimato in 57 miliardi l’anno. Ma è dell’inefficienza della Pa che voglio parlare oggi, visto che il governo ha recentemente inviato in Parlamento un disegno di legge per riformare la gestione del personale pubblico. Come ogni imprenditore sa, la gestione del personale è l’elemento più importante in un’azienda. Da qui la criticità della riforma promossa da Zangrillo.
La riforma prevede diverse cose. Quella che ha attirato più attenzione è la possibilità di essere promossi anche in assenza di un concorso pubblico. Il percorso previsto resta molto complicato rispetto a quello seguito in imprese private, ma si tratta di un passo avanti. Altri componenti della riforma sono però anche più importanti. La cosa essenziale è il rafforzamento nella misurazione della performance dei dirigenti pubblici e nell’introduzione di un più stretto legame tra performance, progressione in carriera e premi economici. L’attuale sistema di misurazione della performance è una farsa. Per esempio, il processo che definisce gli obiettivi annuali viene completato solo verso la fine dell’anno. Inoltre, le valutazioni sono pro forma col 98 per cento dei dirigenti considerato come “eccellente”. La riforma cerca di rimediare a questi problemi. Gli obiettivi dovranno essere definiti entro marzo; solo una percentuale fissa dei dirigenti potrà ricevere una valutazione elevata; e si prevede, attraverso una delega al governo, la riforma degli organi interni di valutazione, che ora lasciano il tempo che trovano.
Si potrebbero sollevare critiche puntuali alla riforma. Per esempio, perché aspettare marzo nella definizione degli obiettivi, perdendo quindi un quarto del tempo disponibile per la loro realizzazione? Come si può evitare che, come in passato, gli obiettivi siano poco ambiziosi? E perché non estendere a tutti i dipendenti pubblici, e non solo ai dirigenti, i principii di fissazione di obiettivi, misurazione della performance e aggancio dei premi ai risultati? Ma si tratta comunque di un passo avanti. La mia obiezione è però più fondamentale.
Una riforma di questo tipo dovrà affrontare giganteschi ostacoli di implementazione. Occorrerà cambiare radicalmente la mentalità di chi lavora nella Pa. Questo può avvenire solo investendo una dose massiccia di capitale politico. Purtroppo, non è questo che sta avvenendo. Il disegno di legge è stato approvato dal governo in sordina. Nessuno, tranne Zangrillo, ci ha messo la faccia. Perché ci sia un minimo di probabilità che questa riforma possa cambiare la nostra Pa, la presidente Meloni deve porla al vertice delle priorità del governo. Se questo non avverrà, nelle parole e nei fatti, la legge che sarà approvata dal Parlamento non sarà certo quello di cui l’Italia bisogno. Che Zangrillo non sia lasciato solo.