Tra i due film di Paolo Virzì ambientati a Ventotene passano 28 anni e parecchi fallimenti sintetizzabili in due battute: nel primo, Ferie d’agosto, il patriarca dei nuovi barbari che scoprono l’isola dice alla civile, ispirata parte antagonista: «Voi intellettuali v'atteggiate tanto, parlate così sofistici, state sempre a analizzà, a criticà, a giudicà... Ma la sa qual è la verità? La verità è che non ce state a capì più un cazzo!». Nel secondo, Un altro ferragosto, gli eredi dei barbari ghignano: «Noi cavalchiamo er flame. La fiamma!».
È vero, sembra l’anticipazione dell’ultima polemica innescata dalla presidente del Consiglio verso l’opposizione, ovvero le citazioni tratte, con un certo disprezzo, dal Manifesto di Ventotene. Per capirle bisogna però ripescare un libro che è stato scritto tra i due film, "L’isola riflessa" di Fabrizia Ramondino, dove la scrittrice descrive con amarezza l’oblio caduto su Ventotene, con la distruzione delle baracche dei confinati per lasciar spazio a nuove case per turisti: «Finché si nascondono non solo le vittime ma anche le loro tombe, è certo che presto ci saranno altre vittime e tombe». Lasciarsi alle spalle la storia dei confinati e tirarla fuori quando serve rientra proprio nella generale mancanza di memoria.
Ora, se si adottasse il principio che il ministro Valditara applica allo schwa, bisognerebbe vietare la citazione del Manifesto di Ventotene a chi non l’ha letto e contestualizzato: non amando i divieti e trovandoli, in questo caso, risibili, occorrerà almeno sottolineare che non è utile ricordarsi di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni (e di Ada Rossi e Ursula Hirschmann, magari) e visitare tombe solo in funzione di un comunicato stampa. Perché il Manifesto, dimenticato per anni, ha avuto in sorte il paradossale destino di essere tirato in ballo solo quando c’è da attribuirgli il nucleo fondativo dell’attuale Unione Europea, lontanissima da quell’utopia, e dimenticando per giunta che quel testo va letto per quello che è: un classico del pensiero socialista.
Accadde, per esempio, nel 2016, quando un altro presidente del Consiglio, Matteo Renzi, convocò un vertice al largo dell’isola invitando Merkel e Hollande sulla portaerei Garibaldi. Anche qui dimenticando un particolare: uno degli autori, Eugenio Colorni, fu assassinato il 28 maggio 1944 dai fascisti della banda Koch, e Ventotene, e siamo daccapo con l’oblio, è stata per i confinati e gli estensori del Manifesto soprattutto un addestramento ideale alla Resistenza. Ma non lo ricorda quasi nessuno, come quasi nessuno ricorda la lunga decadenza dell’ex carcere di Santo Stefano, abbandonato fra sterpi e immondizia per decenni e che solo nel 2022 ha visto l’avvio dei lavori per la messa in sicurezza.
Per questo le cose preziose di oggi sono tre: ovvero i tre volumi usciti fin qui nella collana 99 celle delle edizioni Ultima Spiaggia (dal nome della libreria di Fabio Masi a Ventotene). Sono "Uccidi il tiranno, storia e imprese di Acciarito, Mariani e Zaniboni, attentatori rinchiusi a Santo Stefano" di Pier Vittorio Buffa, Bruno Manfellotto, Anthony Santilli, "Fuga da Santo Stefano. Le evasioni dall'ergastolo borbonico" di Vittorio Buongiorno, "Novantanove celle. L'ergastolo di Santo Stefano in Ventotene" ancora di Buffa e Santilli. Perché i simboli vanno maneggiati con cura: se si citano a casaccio, si rischia di trovare un avversario astuto che li usa a proprio vantaggio, e diventa persino difficile smentirlo, guarda caso.