Opinioni
23 aprile, 2025

La repressione in Germania dei pro-Palestina si fa più dura

L’espulsione di quattro attivisti obbedisce a una precisa strategia ispirata dall’ala radicale sionista

Mentre a Milano lo scorso 12 aprile 50mila persone scendevano in piazza per la Palestina e facevano esperienza delle prime manifestazioni dall’entrata in vigore del decreto Sicurezza, la Germania filo-sionista portava la repressione a un gradino superiore. Infatti, a inizio gennaio il cittadino polacco residente a Berlino Kasia Wlaszczyk ha denunciato di aver ricevuto una lettera dall'Ufficio immigrazione che lo informava di aver perso il diritto alla libertà di movimento in Germania. Secondo la lettera, a Kasia veniva revocata la possibilità di muoversi nel Paese a seguito di accuse di coinvolgimento nel movimento pro-Palestina. Consapevole della difficoltà giuridica con cui si può espellere un cittadino europeo da un altro Paese comunitario, con un avvocato, Wlaszczyk ha intentato una causa sulle motivazioni giuridiche dell’espulsione.

 

Nei mesi a seguire ha scoperto che altre tre persone vicine al movimento per la Palestina a Berlino avevano ricevuto le stesse lettere: Roberta Murray, Shane O’Brien e Cooper Longbottom. Due di loro sono irlandesi e uno statunitense. Secondo i quattro attivisti, le lettere di espulsione erano l’ennesima tattica intimidatoria di un governo filo-sionista che però si sarebbe tradotta semplicemente in un lento e infruttuoso processo. Poi, all’inizio di marzo, ognuno degli avvocati ha ricevuto un’altra lettera in cui si dichiarava che sarebbe stato dato agli attivisti tempo fino al 21 aprile per lasciare volontariamente il Paese o sarebbero stati espulsi con la forza. Le lettere citano accuse derivanti da un loro coinvolgimento nelle proteste contro il genocidio in corso nei territori occupati palestinesi. Nessuna delle accuse ha ancora portato a un’udienza in tribunale e nessuno degli accusati ha precedenti legali. Le lettere dichiarano il legame dei quattro attivisti con l’«antisemitismo» e «organizzazioni terroristiche», intendendo Hamas, e le sue presunte «organizzazioni di facciata in Germania e in Europa».

 

Nei rapporti con la Germania, Israele ha storicamente strumentalizzato un generalizzato senso di colpa tedesco. L’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto (Ihra) identifica l’immigrazione dal Medio Oriente e dal Nord Africa e la «sinistra antimperialista» come due delle principali fonti di antisemitismo in Germania. Inoltre sovrappone intenzionalmente la definizione di antisemitismo e antisionismo e suggerisce allo Stato e alle istituzioni pubbliche di esercitare al massimo i poteri esecutivi contro il movimento pro-Palestina. Tra i metodi consigliati dall’Ihra ci sono il controllo di tutti i finanziamenti culturali e accademici, lo screening dei candidati a posizioni di insegnamento universitario, l’espansione senza precedenti delle misure disciplinari in tutte le università e l’utilizzo della legge sull’immigrazione per deportare gli attivisti pro-Palestina.

 

Le deportazioni dei quattro attivisti non sono il frutto di una frangia estremista ma il risultato di una campagna durata più di un anno da parte della coalizione liberale Ampel: partito socialdemocratico (Spd) e partito liberaldemocratico (Fdp) e Verdi. L’ordine di espulsione di Wlaszczyk, O’Brien e Murray cita apertamente l'idea che la sicurezza di Israele sia parte della ragion di Stato della Germania. L’influenza tedesca sulle politiche sioniste e repressive comunitarie devono allertarci tutti e farci domandare: l’Europa è revocabile?

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