Nella corsa all'Ia il futuro è a stelle e strisce mentre l'Europa è il fanalino di coda

Sono sempre stato abbastanza scettico riguardo all’impatto economico della cosiddetta terza rivoluzione industriale, quella basata sullo sviluppo della tecnologia dell’informazione e delle comunicazioni (Ict) culminata con il sempre più marcato interesse nell’Intelligenza Artificiale (Ia). Il mio scetticismo era basato su un semplice fatto: da che mondo è mondo, l’impatto economico degli sviluppi tecnologici si è manifestato attraverso un aumento della produttività. Intuitivamente, se un lavoratore utilizza strumenti di produzione più antiquati la sua produzione in un’ora di lavoro (ossia la sua produttività oraria) è più bassa di quanto sarebbe se utilizzasse strumenti più moderni. Ebbene, nel Paese tecnologicamente più avanzato, gli Stati Uniti, l’andamento della produttività (in particolare di quella componente della produttività che è imputabile al progresso tecnologico, la total factor productivity) era stato deludente negli ultimi anni.

 

Tra il 2007 e il 2022 l’aumento annuo era dello 0,6 per cento, niente a che fare col tasso di crescita della produttività (2 per cento l’anno) del Cinquantennio (1920-70) che aveva seguito la seconda rivoluzione industriale, quella che ci aveva portato l’elettricità, la chimica moderna, la conoscenza delle onde elettromagnetiche, l’energia atomica e, non sottovalutatene l’importanza, l’acqua corrente nelle case. Insomma, la rivoluzione Ict, compresa l’Ia, aveva sì accresciuto la produttività ma a una velocità molto inferiore al passato.

 

È vero che l’Ia, nella sua forma attuale, era piuttosto recente. Due i punti di svolta. Il primo era stato nel 2012, quando il successo delle reti neurali nei test di riconoscimento delle immagini aveva convinto che quella era la strada da seguire. Il secondo era stato nel 2017, quando con lo studio “Attention is all you need” otto ricercatori di Google avevano introdotto il Transformer applicandolo alla traduzione automatica, con i successivi sviluppi dei chatbot, in primis ChatGpt. Si poteva, quindi, ipotizzate che occorresse un po’ di tempo perché questi sviluppi impattassero sulla produttività. Fatto sta che l’impatto ancora non si vedeva.

 

Sembra però che ora le cose stiano cambiando. Il tasso di crescita della produttività negli Stati Uniti, secondo dati pubblicati di recente dal Department of Labor, è stato dell’1,4 per cento nel 2023 e dell’1,3 per cento nel 2024. Anche se non siamo ancora ai livelli del cinquantennio d’oro del secolo scorso, si tratta comunque di un cambio di passo. Forse, l’Ia sta ora avendo un impatto decisivo sulla produttività. Il che dovrebbe preoccupare noi europei, visto lo scarso volume di investimenti dei nostri Paesi in Ia.

 

Secondo il 2025 AI Index Report dell’Università di Stanford, le imprese americane hanno investito tra il 2013 e il 2024 471 miliardi di dollari in Ia, seguite (da lontano) da quelle cinesi (119 miliardi). Al terzo posto il Regno Unito (28 miliardi). Il primo Paese dell’Ue, la Germania, sta al sesto posto con solo 13 miliardi, superata da Canada e Israele. La Francia è all’ottavo posto (11 miliardi). La Svezia all’undicesimo (7 miliardi). Nessun altro Paese Ue appare nei primi quindici posti. E il divario si sta ampliando: nel solo 2024 le imprese americane hanno investito 109 miliardi contro i 19 miliardi dell’Europa (compreso il Regno Unito). Se il futuro è nell’Ia, allora è a stelle e strisce.

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