Brocchi, presuntuosi, sprezzanti della bandiera tricolore. Il terzo Mondiale consecutivo a rischio ha già il capro espiatorio perfetto. Sono i giocatori cinici, bari e avidi di denaro. Ecco dieci punti per smentire una colossale fake news apparecchiata in modo da proteggere i veri colpevoli

Adesso basta linciare i calciatori della Nazionale di calcio: sono quelli che hanno meno responsabilità di tutti

Anche senza iscrizione all’albo dei difensori d’ufficio, è ora di intervenire sul gioco al massacro dei calciatori in azzurro. I giocatori, e in parte Luciano Spalletti, sono finiti in un tritacarne di retorica patriottarda. La colpa principale delle disgraziate partite contro la Norvegia e la Moldova è stata attribuita al disprezzo dei giocatori mercenari verso la bandiera tricolore. Altrettanto ingiuriato è stato Claudio Ranieri, trasformato in una specie di Celestino V post-dantesco che per viltade – e denaro, si capisce – oppone il gran rifiuto alla panchina dalla quale già Roberto Mancini si dileguò per i petrodollari sauditi, salvo pentimento di questi ultimi giorni.

 

Dirigenti? Autoassolti, come sempre, anzi rieletti a furor di popolo perché mondi da ogni colpa e dediti a riforme salvifiche.

Ecco, punto per punto, dieci elementi di dissenso.

1. I ragazzi di Spalletti sono il meglio che offre il calcio italiano. È un’ovvietà ma è il caso di ripeterla.

2 .La loro cifra atletica è soggetta a cali di forma. È un’ovvietà anche questa ma è il caso di ripeterla.

3. La loro cifra tecnica è modesta. Fabio Capello, Arrigo Sacchi e Ottavio Bianchi lo spiegano da anni. Carlo Ancelotti è andato a rifondare il Brasile, non l’Italia perché ci diventerebbe vecchio.

4. Sostenere che Di Marco, Barella, Zappacosta, Rovella e gli altri se ne fregano dell’azzurro è una fesseria smentita, per esempio, dal match contro la Moldova. Certi errori e la costante paura in ogni giocata sono semmai sintomi di attaccamento alla maglia, non di menefreghismo. Gli strafalcioni da squadra di seconda categoria dilettanti – l’Italia - commessi contro una squadra a livello di serie C – la Moldova – non si spiegano con la voglia di andare al mare ma con il terrore di non andare al Mondiale. Quando un giocatore ha la gamba che non regge e sa di non essere Messi e deve affrontare una partita decisiva, gioca infinitamente peggio del suo livello.

5. In linea di massima la serie A è un torneo dove i pochi italiani e i molti stranieri sono abituati a partite giocate a basso ritmo per 80 minuti interrotti da qualche fiammata. La responsabilità di questo spettacolo orrendo è dei club che allenano male o che accettano i lazzaroni perché hanno una cifra tecnica superiore a quella dei brocchi vogliosi di allenarsi. Alla fine, l’allenatore che mette in panca un giocatore bravo ma pigro, sta deprezzando gli asset del club.

6. A proposito di patrimonio. I club di serie A sono in maggioranza di proprietà di società estere. A loro non importa di promuovere il calcio italiano. Perché dovrebbe? Ai club di serie A importano i progetti di sviluppo immobiliare degli stadi, il merchandising, i diritti tv che non crescono e chissà come mai. Salvo qualche eccezione, sono fondi di investimenti che lavorano su progetti di investimento a breve-medio termine. Basta questo a renderli incompatibili con l’idea stessa di vivaio, che è a lungo termine.

7. Neanche ai dirigenti nazionali importa di promuovere il calcio italiano. A loro importa conservare la poltrona. Dopo due mancate qualificazioni di fila al Mondiale si è visto che è possibile farlo e che, in un mondo dove giocatori e allenatori sono per lo più giudicati in base al merito sportivo, i dirigenti non lo sono perché è comunque colpa dei giocatori, degli allenatori, dei telefonini, delle playstation, delle discoteche, degli amici trapper e delle signorine compiacenti.

8. Il modello societario italiano è fallimentare. I club di avanguardia in Spagna, Real Madrid e Barcellona, sono organizzati secondo il modello mutualistico con un presidente eletto dai tifosi-azionisti. Il primo club tedesco, il Bayern Monaco, ha un modello simile con partner industriali di minoranza forti e stabili (Adidas, Audi, Allianz). I nuovi stadi di questi tre club sono rifacimenti di impianti storici. La Premier League ha il triplo dei soldi della seria A e può comprare chi vuole, vivaio o non vivaio. Del resto, in quanto a risultati della nazionale, l’Inghilterra è messa molto peggio dell’Italia.

9. Il calcio è cultura ed è educazione. Questo non significa soltanto imparare a memoria l’inno di Mameli, anche se magari lo canta un oriundo con il trisnonno di Rossano Calabro. Significa spiegare ai calciatori che è meglio evitare i rapporti con le mafie così ben rappresentate in curva. Ma anche qui, come si è visto nell’inchiesta penale milanese Doppia Curva, l’esempio lo danno i dirigenti.

10. Per finire. Una volta diventava commissario tecnico della Nazionale maggiore il ct dell’Under 21 o dell’Under 23. Adesso, a quanto sembra, si prenderà un ex campione di Germania 2006. Lui andrà a chiedere ai colleghi che allenano le giovanili di giocare con il 4-3-2-1 o con il 3-5-2 o emanerà una fatwah che vieta il trequartista, proibisce il dribbling e impone almeno trenta passaggi indietro a testa a partita. Nel frattempo, gli appassionati continueranno a guardare Spagna-Portogallo la sera di domenica 8 giugno Italia-Moldova la sera di lunedì 9 giugno e penseranno che non stanno vedendo lo stesso sport.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Stati Uniti d'Europa - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 11 luglio, è disponibile in edicola e in app