«Riparate la vostra democrazia», ha scritto sul suo blog l’attivista e informatico anglo-egiziano, Alaa Abd El-Fattah, nel 2017. «Questa è sempre stata la mia risposta alla domanda: “Come possiamo aiutare?”. Credo ancora che sia l’unica risposta possibile». L’attivista del Cairo suggerisce di riparare le nostre democrazie in tutti i luoghi possibili, specialmente dove queste hanno radici più profonde, così da poter essere luoghi di alleanze con i processi di liberazione del mondo.
Negli ultimi vent’anni Alaa Abd El-Fattah è entrato e uscito di prigione diverse volte, è stato uno dei protagonisti delle manifestazioni di piazza Tahrir nel 2011. Arrestato di nuovo nel 2021, Alaa è stato condannato a cinque anni «perché diffondeva notizie false contro l’interesse nazionale». Il suo arresto è stato arbitrario, senza un processo equo e, anche se avrebbe dovuto essere rilasciato il 29 settembre 2024, le autorità egiziane hanno deciso di non contare la sua detenzione preventiva, facendo slittare la data di rilascio al 2027.
Spinta dal mancato rilascio, la madre di Alaa, Laila Soueif, ha iniziato da quel giorno uno sciopero della fame a Londra e ha dichiarato che continuerà finché il figlio non uscirà dalla prigione di Tora. A inizio giugno Laila ha superato i 250 giorni di sciopero perdendo più del 40 per cento del suo peso corporeo. È attualmente ricoverata a Londra e da quel giorno anche suo figlio Alaa ha iniziato uno sciopero della fame in carcere.
Inoltre Laila, professoressa di matematica, nei mesi ha chiamato un presidio quotidiano di un’ora davanti a Downing Street per fare pressione sul primo ministro Keir Starmer, affinché la liberazione del figlio diventi una priorità nelle relazioni della Gran Bretagna con l’Egitto. Infatti Alaa è cittadino britannico dal 2021, ma il governo egiziano rifiuta di riconoscergli la cittadinanza e non fornisce all’ambasciata britannica al Cairo l’accesso alle visite consolari. La madre di Alaa, sessantanovenne, non ha mai normalizzato l’incarcerazione del figlio: negli ultimi dieci anni ha lottato per lui nei tribunali, nelle deposizioni legali, negli appelli, nelle marce, nelle proteste. Attraverso lo sciopero della fame sta riproducendo, nelle democratiche vie di Londra, la tortura e l’umiliazione del corpo del figlio nelle carceri egiziane. Laila lotta affinché la Gran Bretagna protegga un suo cittadino e, globalmente, si faccia pressione per la libertà d’espressione in Egitto.
Lo scorso marzo, il Comitato per la protezione dei giornalisti ha pubblicato una lettera, indirizzata al presidente della Repubblica egiziana, per richiedere la liberazione di Alaa. Assieme ad altre 49 personalità, la lettera è stata anche firmata dall’autrice indiana Arundhati Roy. Uno sguardo non-occidentale su atti di disobbedienza civile in uno Stato di diritto è sempre essenziale. In un’intervista del 2011 Roy, sullo sciopero della fame, ha detto: «La non-violenza è principalmente un teatro. Ha bisogno di un pubblico e che cosa fai, invece, quando non hai audience? La gente ha il diritto di resistere all’annientamento» (The Guardian, 2011).
La democrazia si ripara allenandosi a essere un pubblico che incute timore, una cittadinanza sempre in allerta, pronta a comprendere la realtà e a rispondere, popoli che resistono, alleandosi, all’annientamento. Nello sciopero di Laila troviamo le crepe delle democrazie e la possibilità di liberare Alaa una volta per tutte.