L’oblio imposto per liquidare Gaza definitivamente

No, la retorica bellicista non ci convincerà mai a piegare il ragionamento alle convenienze del cinismo di Benjamin Netanyahu. Lui ha la necessità di scatenare ogni giorno un nuovo fronte di guerra, per ragioni di calcolo politico e tenuta del potere. Per poi rivendicare di sconfiggere il male conto terzi.

 

La carneficina di Gaza, la sistematica distruzione di tutto, l’immane, incalcolabile tributo di sangue palestinese vengono ora liquidati come «fronte secondario». E mentre i tg ci inondano di immagini sugli effetti dei missili iraniani sulle città di Israele, il silenzio piomba sulla Palestina e sulla Cisgiordania. Sulla fame e sulle vittime innocenti del massacro ordinato dal primo ministro israeliano. E cala il sipario su ogni possibilità negoziale per il rilascio degli ostaggi del 7 ottobre da parte di Hamas.

 

Fiaccato dalla resistenza di un nemico subdolo che dimostra di rigenerare i propri apparati nonostante le immani perdite subite, Bibi ha spostato gli occhi del mondo verso un altro Satana. Ha bisogno di spegnere la luce su quanto sta accadendo nella Striscia, dopo aver imposto al mondo di digerire un numero crescente di vittime collaterali della sedicente lotta al terrorismo. Bimbi falcidiati, ospedali bombardati, ambulanze crivellate di proiettili.

 

Il «fronte secondario» è quello che i sionisti non sopportano si definisca genocidio, ma è l’annientamento sistematico del popolo palestinese giustificato dalla necessità di estirpare il cancro di Hamas. Quella che avrebbe dovuto essere una risposta lampo di autoprotezione dello Stato di Israele di fronte all’offensiva scatenata dal fanatismo islamista, è giunta ai 700 giorni di assedio. La Striscia è ridotta a un cumulo di macerie, mentre i superstiti si spostano da una parte all’altra come topi in trappola a estinzione crescente.

 

E lo Shin Bet traccheggia con miliziani di ogni risma utilizzando anche gli aiuti umanitari come merce negoziale per imporre un nuovo disordine funzionale agli interessi di Tel Aviv. Quale sia il fine ultimo non è il delirio apocalittico di pochi ma l’evidenza di un disegno di espansione che al più tollererà i palestinesi sopravvissuti come una minoranza ancora meglio confinata e asservita. Altro che due Stati. Le colpe degli sbrigativi tratti di penna europei sul destino degli arabi nella storia del Novecento si riverberano sull’incapacità odierna di Bruxelles di far risuonare una sola voce contro il leader israeliano. Imponendogli di fermare l’abominevole scempio della Palestina. 

 

La complicità di un presidente Usa che riesce a delegare a Israele quello che una volta era l’interventismo americano oltreoceano fa ormai parte di un disegno che si ripropone. Le autocrazie del mondo trovano il modo di intendersi sempre: Trump sostiene per procura la pulizia del Medio Oriente da parte di Israele, lascia aperto il dialogo d’affari con Putin e usa l’Ucraina per mettere spalle al muro l’Europa. Intanto apre alle munifiche monarchie arabe e negozia con la Cina. 

 

No, nel nuovo ordine mondiale, non c’è spazio per altro che non siano le convenienze. Il Pianeta come un gigantesco mercato in cui non c’è posto per altro che non sia l’utile. Nel silenzio e nell’oblio sarà più facile per tutti digerire l’ultima spallata su Gaza. E 40mila e più morti palestinesi, ultimi tra gli ultimi, sono meno di un dossier stropicciato di cui non occuparsi più.

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