Non c’è neppure un numero certo. Istat e ministero dell’Economia danno cifre assai discordanti

Le partecipate erano una giungla E lo sono ancora

Alcuni argomenti sono sempreverdi. Altri sono discussi intensamente per brevi periodi, poi scompaiono dall’attenzione del pubblico, a volte perché non costituiscono più un problema, a volte perché è meglio dimenticarsi dei problemi che non si riesce a risolvere. Tra questi ultimi ci metterei la questione delle partecipate degli enti locali, anzi della giungla delle partecipate, come si diceva un decennio fa. I Cinque stelle, prima di entrare nelle stanze del potere, li chiamavano “poltronifici”, luoghi che, se andava bene, erano una fonte di prebende per politici “trombati” e, se andava male, erano una fonte di perdite miliardarie. Ora se ne parla poco, ma cosa è successo alle partecipate negli ultimi dieci anni?

 

Nell’agosto del 2014 veniva pubblicato il “Programma di razionalizzazione delle partecipate locali” che avevo scritto come Commissario per la Spending review. Il programma mirava a ridurre il numero delle partecipate «da 8.000 a 1.000» e a contenerne le allora significative perdite limitando il perimetro delle loro attività, promuovendone la trasparenza e aumentandone l’efficienza. Il programma aveva ispirato la riforma Madia del 2015 e il successivo Testo Unico sulle partecipate del 2016. Cosa è accaduto da allora? Le risposte si dovrebbero trovare in due recenti rapporti, uno del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) del gennaio scorso e uno dell’Istat pubblicato un paio di mesi fa. E qui si capisce come il termine “giungla delle partecipate” sia ancora appropriato. Sì, perché, dopo aver letto i due rapporti, restano una marea di domande. A partire dal perché i rapporti siano due, basati su due diverse banche dati, quando uno degli obiettivi della riforma era di avere un’unica banca dati per tutte le pubbliche amministrazioni. Ma si sa che impedire a una pubblica amministrazione italiana di fare di testa sua è un’impresa impossibile, per cui Mef e Istat continuano ad avere due diverse banche dati. Il rapporto del Mef dice, così, che nel 2022 (ultimo anno per cui le statistiche sono disponibili, il che la dice tutta) le partecipate erano 7.572, mentre l’Istat dice che erano circa 3.600. Dopo aver contattato l’Istat, l’Osservatorio sui Conti Pubblici italiani è riuscito, in parte, a capire i motivi di questa differenza (per esempio, l’Istat non include le partecipate che non svolgono attività). Ma perché il cittadino non deve avere informazioni chiare senza doverle chiedere? E magari fosse finita qui. Secondo l’Istat le partecipate si erano ridotte da circa 5.200 nel 2012 a circa 3.600 nel 2022. I dati Mef, invece, indicano una riduzione molto inferiore (da 7.715 a 7.572). Chi ha ragione? Le partecipate si sono ridotte o no? Forse i dati del Mef del 2012 ne sottostimavano il numero (e quindi ora la loro riduzione) perché, all’epoca, non tutti gli enti pubblici comunicavano al ministero le partecipazioni detenute? Altra domanda senza una chiara risposta.

 

Quel che è chiaro è che le partecipate locali erano, almeno nel 2022, ancora tantissime, che le loro perdite restavano rilevanti (nell’ordine di centinaia di milioni), che ne esistevano più di un migliaio che erano inattive ma non si riuscivano a chiudere, che esisteva una marea di micropartecipazioni che non avevano una chiara funzione, e che continuavano a operare in settori dove la presenza pubblica non era chiaramente giustificata (come le pompe funebri a Ferrara).

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