Un profeta disarmato, non amava il potere. Subiva l’assunzione di responsabilità come ineluttabile

Ciò che ci resta di Alex Langer trent’anni dopo

Il 3 luglio del 1995 il “vulcano Langer”, come lo definì Enzo Collotti, decise che i pesi gli erano diventati insopportabili e pose fine alla sua vita in una collina sopra Firenze legata alla Biblioteca di Giovanni Spadolini. Due personalità diverse ma altrettanto esuberanti. Langer decise di scomparire dopo la tragedia di Tuzla e dopo avere proclamato che l’Europa nasceva o moriva con Sarajevo; si trattò di una coincidenza temporale, non certo della causa di un suicidio. Verso cui occorre sempre rispetto e timore con la consapevolezza del vuoto tremendo sopra il quale camminiamo, come disse in occasione del funerale Peter Kammerer ammonendo di avere cura di noi stessi e degli altri, trattandoci con delicatezza e affetto.

 

Si è detto spesso che Alex fosse il leader carismatico dei Verdi, in realtà non era amato da tutti gli esponenti del partito, per invidia forse. Langer possedeva un tratto di profezia: un profeta disarmato, che non amava il potere e subiva l’assunzione di responsabilità come un destino ineluttabile da cui era difficile sottrarsi. Possedeva la qualità rara di inventare parole, parole d’ordine che affascinavano menti e cuori: Conversione ecologica, Lentius, profundius, suavius, Consapevolezza del limite, Traditori non transfughi, Convivenza interetnica, Solve et coagula, Costruire ponti e abbattere muri. Erano dirette a mondi, soggetti e persone, senza confini. In due occasioni scese in campo, candidandosi a un ruolo preciso, senza timore e con sfida coraggiosa. La candidatura a segretario del Pds, raccogliendo l’intuizione di Ezio Mauro in favore di un “Papa straniero”, con la motivazione «di poter restituire a molti tra coloro che oggi si sentono sconfitti e delusi un senso di riscoperta e di nuova motivazione a rimettersi in cammino». L’altra, con la candidatura a sindaco di Bolzano, proprio nel giugno 1995, bocciata per il rifiuto dell’appartenenza etnica nel censimento spartitorio. A distanza di tempo possiamo dire che i rifiuti segnarono sconfitte non sue, ma delle speranze di cambiamento. La raccolta di scritti “Il viaggiatore leggero”, pubblicata da Sellerio, è ricca di suggestioni. Scelgo un brano decisamente attuale, tratto da “il manifesto” del 1° marzo 1987, che ricorda la guerra dei sei giorni nel 1967: «C’è stata la guerra, con l’esito che sappiamo, e ne è seguita una trasformazione e profanazione sempre più angosciante e tragica dello Stato d’Israele, costruito al suo interno e nella sua politica estera sempre più nettamente come “Stato contro i palestinesi, contro gli arabi”, quasi più che come focolare degli ebrei e dell’ebraismo. Le discriminazioni e le barriere etniche contro i cittadini israeliani non-ebrei, e in particolare contro i palestinesi, e il ruolo indubbiamente repressivo verso i palestinesi dei territori occupati… non può essere quell’Israele della speranza e della ragione».

 

Langer aveva detto molto, quello che ci manca è la sua azione. Raccogliere il suo invito a «continuare in ciò che era giusto» suona difficile perché, dopo trent’anni, dobbiamo riconoscere che la situazione è peggiorata, nel mondo, in Europa e in Italia con più armi e più guerre, più inquinamento, più speculazione e degrado nelle periferie, più odio e più razzismo, più disprezzo delle minoranze e più violenza, meno federalismo e autonomie. Il mese scorso al Senato grazie a Marco Boato si è tentato di essere all’altezza: Dalla Terra alla Luna.

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