Opinioni
11 luglio, 2025Per raffreddare le città servirebbero gli alberi. Ma i sindaci continuano a inaugurare piazze senza verde
In anni che sembrano lontanissimi Antonio Cederna diceva: «Per me la lotta per la salvaguardia dei valori storico-naturali del nostro Paese è la lotta stessa per l’affermazione della nostra dignità di cittadini».
Oggi, al termine di lunghi giorni dove si sono contati i morti per il caldo, non solo si sono dimenticate le sue parole, ma vengono ignorate quelle degli esperti: Telmo Pievani («Si calcola che nelle grandi città bollenti la temperatura si abbasserebbe di 10 gradi togliendo di mezzo asfalto e cemento e sostituendo i pavimenti col verde»), Stefano Mancuso («Le città potrebbero essere raffreddate con gli alberi. Non con qualche migliaio, ma con centinaia di migliaia di alberi»), Michele Munafò dell’Ispra («Stiamo ricoprendo le nostre città di materiali che agiscono come se fossero grandissimi termosifoni: accumulano calore sotto i raggi del sole e scaldano l’aria. Per contrastare le isole di calore, bisogna eliminare questi elementi: depavimentare, riportare suoli naturali dove oggi ci sono cemento e asfalto, piantare vegetazione che ha un effetto di raffrescamento»). Intervistati, nell’ordine, da Corriere della sera, Repubblica e Fatto quotidiano, non solo restano inascoltati ma sono smentiti da molte amministrazioni comunali, che si muovono nella direzione opposta.
Qui Bologna. Il giardino San Leonardo, amato e curato da residenti e comitati, entra nelle mire della Johns Hopkins University, che chiede di espandere la propria caffetteria verso il giardino medesimo promettendo di “rigenerarlo”. Invece di diversi alberi, arriveranno “gradini, sedute, rampe e gradoni”. Qui Roma, quartiere Pietralata, lo stesso dove dovrebbe sorgere lo Stadio della Roma (annientando gli ettari di verde che dovevano diventare parco): il sindaco Gualtieri inaugura “la Rambla”, una distesa di strutture in cemento con un sinistro obelisco che svetta su un’aiuola. Lo fa portandosi dietro un gazebo, perché l’ombra degli alberi non c’è più. Ancora qui Bologna. Si investono decine di migliaia di euro per 100 alberi in vaso da mettere nel centro storico, glissando sull’abbattimento dei boschi spontanei per insediare i cantieri del Passante, che a quanto pare non si farà più. Ancora qui Roma. La nuova piazza di San Giovanni in Laterano. Cemento. Via le panchine e l’ombra. Piazza dei Cinquecento, e piazza San Silvestro, ancora prima.
E l’elenco continua. Pordenone. Lucca. Salerno. Napoli. Prato. Viareggio. Milano. Ogni volta la stessa storia: abbattere gli alberi alti e frondosi, e sostituirli, se va bene, con qualche alberello esile e stentato, che nella maggior parte dei casi morirà per mancanza di cure. È come se un nuovo patto per il cemento venisse stretto e si espandesse nel momento in cui andrebbe invertita la tendenza. Che invece aumenta, come diceva già due anni fa il Sole 24 ore: «Il consumo di suolo in Italia solo nel 2021 ha superato i 2 metri quadrati al secondo, sfiorando i 70 Km2 di nuove coperture artificiali in un anno. Il 7,1 per cento del suolo è consumato da opere di cementificazione, rispetto a una media Ue del 4,2 per cento». Per questo, la cosa preziosa di oggi è “Il fulmine sulla torre” di Chiara Tartagni, che esce per Jimenez. La torre è quella dei tarocchi, e viene raccontata da molti punti di vista: ma il significato è chiaro, dalla catastrofe si può ripartire per creare il nuovo e il bello. Intanto, però, siamo ancora fra quelli che dalla torre stanno precipitando.
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