Opinioni
17 luglio, 2025Tagli, revisione dei criteri, incentivi ad alzare i prezzi dei biglietti: questa è l’egemonia culturale
Lo scorso 7 luglio l’“assemblea dell* lavorat* dello spettacolo” ha indetto una chiamata per «resistere al disastro culturale in corso dall’insediamento di questo governo». All’incontro online hanno partecipato più di duemila persone e centinaia di artistə e operatorə del mondo della cultura riuniti in presenza in quattordici città sul territorio nazionale. Dalla sala consiliare di Sant’Arcangelo, dove si tiene uno dei più importanti festival di teatro e arti performative internazionali, si è esordito: «Questa è una destra che pensa sui tempi lunghi perché mira all’egemonia culturale, quindi, per resistere, non basteranno i cavilli».
L’assemblea si è organizzata a seguito di un’ esclusione mirata di compagnie, festival e teatri, nazionali e locali, dall’allocazione dei fondi pubblici del ministero della Cultura. Si tratta di una domanda a cadenza triennale da presentare per ottenere finanziamenti per le attività culturali; la prima dall’inizio del governo Meloni. L’assemblea ne ha discusso approfonditamente: «Non sono semplicemente dei tagli: è un licenziamento di massa». La situazione, già da prima dell’apertura delle candidature era allarmante: i parametri di accesso ai finanziamenti erano cambiati, e parole chiave come “innovazione”, “contemporaneo” e “trans-disciplinarità” non figuravano più. Inoltre si è incoraggiato un aumento dei costi dei biglietti rendendo così la cultura ancora meno fruibile. Ma, come ha affermato un attivista durante l’assemblea di lunedì scorso, «la cultura non è di un’élite, non la capiscono in pochi, ma la finanziano poco e la rendono così, inaccessibile».
Diverse compagnie hanno denunciato di essere state contattate telefonicamente dal ministero della Cultura che ha invitato a riscrivere la domanda «in italiano», scoraggiando cioè l'uso di pronomi neutri e altre alternative al maschile sovra-esteso. In questo clima, tre dei sette commissari per la Prosa hanno deciso di dimettersi mentre i restanti quattro sono di nomina governativa. La Commissione Prosa ha l’incarico di ripartire i finanziamenti dell’ex Fondo Unico per lo Spettacolo, oggi ribattezzato “Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo”. Il direttore artistico di Sant’Arcangelo ha sottolineato che mentre «”unico” include, “nazionale” esclude: chi esce dalla definizione è punito».
Un altro dimissionario ha condiviso come non si sia dimesso a cuor leggero, ma «che almeno si è lanciato un sasso nello stagno teatrale e ora bisogna essere un pungolo per il governo». Dal teatro delle Moire di Milano, una delle realtà sopravvissute ai tagli ma alleate, si è ribadito che «ciò che soffre è tutto il contemporaneo». Il punto centrale emerso più volte è che la lotta per una cultura libera e indipendente va di pari passo con le altre battaglie: «Lottiamo insieme per il welfare, diversamente saremo sempre sotto ricatto».
Le varie assemblee territoriali hanno analizzato con lucidità il contesto: «C’è un’economia di guerra e noi siamo parte del taglio: è in atto un progetto di epurazione culturale». Si perde così una voce plurale, dal margine. «Se voi non vi auto-censurate, avrete il nostro stesso destino: se non siete stati ancora esclusi, arriverà il vostro momento», ha aggiunto un partecipante. Nei prossimi mesi il coordinamento promette di continuare a chiamare assemblee e agitazioni «in ogni città, in ogni teatro». E, poi, si è concluso: «La nostra resistenza, la nostra auto-organizzazione, non credete sarebbe lo spettacolo più bello?».
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