Opinioni
24 luglio, 2025Dalla Francia i primi tentativi di limitare i colossi cinesi dell’usa e getta. Ma non per ragioni etiche
Ogni secondo l’equivalente di un camion della spazzatura pieno di vestiti viene portato in discarica. Le conseguenze del modello dell’industria tessile impattano per lo più i Paesi del Sud globale, ma le responsabilità sono da cercarsi altrove. Il 5 luglio scorso il Senato francese ha approvato un disegno di legge volto a regolamentare i giganti del fast fashion e soprattutto le piattaforme di e-commerce cinesi come Shein e Temu. Si parla di “ultra” fast fashion per i volumi e la velocità della catena di produzione e distribuzione: migliaia di nuovi articoli ogni giorno, pensati per essere indossati un paio di volte e poi buttati; solo Shein lancia in media circa 5.000 nuovi prodotti ogni giorno. Questa velocità è possibile grazie allo studio, tramite l’Ia, delle tendenze che consentono ai brand di capitalizzare i trend estratti dai social media.
La produzione tessile globale ha un impatto devastante sull’ambiente e sulla salute delle persone che indossano i capi o li producono. Nel 2022 Greenpeace Germania ha pubblicato un report su Shein evidenziando l’utilizzo di sostanze chimiche pericolose per la salute e per l’ambiente, vietate nell’Ue. La legislazione attende ora lo scrutinio dell’Ue per arginare l’ultra fast fashion con un sistema di “eco-score” che valuterà l'impatto ambientale dei prodotti. Il punteggio include inoltre le emissioni, l’uso delle risorse e la riciclabilità dei capi d’abbigliamento. I brand con i voti più bassi potrebbero essere tassati fino a 5 euro per articolo già a partire dal 2025 e fino a 10 euro entro il 2030. Tuttavia, la tassa non può superare il 50 per cento del prezzo: e bisogna considerare che il prezzo medio di un prodotto Shein è di 8 euro. La proposta prevede anche il divieto di pubblicità per i marchi di moda “ultra” fast fashion e sanzioni per gli influencer che li promuovono. La legislazione non riguarda solo i giganti cinesi come Temu e Shein, ma tutti i brand che rientrano in una definizione «appositamente vaga» scrive un’attivista climatica sul suo blog «così da escludere il fast fashion europeo».
Shein è nell’occhio del ciclone per i suoi costi sociali e ambientali ma è naive pensare che questa proposta di legge sia mossa da motivi etici. Può essere vista anzi come una mossa demagogica spinta da interessi politici ed economici: non è un caso che venga fatta in Francia dove ci sono le principali case di moda di lusso. «La decisione francese avviene in un vuoto normativo europeo: la proposta di direttiva Green Claims, che sanziona le pratiche di greenwashing, è stata fermata dai partiti europei più conservatori» ha affermato Priscilla Robledo policy officer della Campagna Abiti Puliti. Nelle riforme sulla sostenibilità in Ue la Francia ha fatto pressione affinché la Commissione tenesse le norme blande.
«Dal punto di vista della produzione di abbigliamento il fast fashion è identico al mercato del lusso, a partire dallo sfruttamento delle lavoratrici e delle risorse. Fare una differenza tra fast fashion e moda di lusso inganna consumatori ed elettori» ha aggiunto Priscilla. «Lo hanno dimostrato le indagini della Procura di Milano, negli ultimi due anni, su Valentino, Armani, Dior e al recente caso Loro Piana». Un altro caso emblematico è la vertenza di Sudd Cobas che, nel distretto tessile pratese, da gennaio 2023 lotta per la sindacalizzazione e contro gli appalti del brand di lusso Montblanc.
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