Opinioni
25 luglio, 2025Crediamo a Sala, ma in città si è costruito più del dovuto, dove non si poteva, come non si doveva
C’è qualcosa che non torna nel racconto scintillante della Milano che corre, che si trasforma, che si reinventa di anno in anno, la città che ambisce a essere la capitale europea dell’innovazione urbana, del design, della sostenibilità. L’inchiesta sull’Urbanistica del capoluogo lombardo – che domina la nostra copertina e che coinvolge il sindaco Beppe Sala, l’assessore all’Urbanistica dimissionario Giancarlo Tancredi, e una fitta rete di costruttori e professionisti – smonta, pezzo dopo pezzo, la retorica della città modello.
Chiariamo subito un punto: crediamo che il sindaco Sala abbia le mani pulite. Non ci sono elementi, a oggi, che possano far pensare a un arricchimento personale. Ma questo non basta a raccontare ciò che è successo nella Milano del mattone finanziario.
Nel cuore dell’indagine, infatti, ci sono una serie di varianti urbanistiche, deroghe, “ristrutturazioni” che di fatto sono nuove costruzioni, progetti che nascono con la giustificazione della rigenerazione urbana e che si traducono in vantaggi enormi e sproporzionati per progettisti e costruttori. Si è costruito più del dovuto, dove non si poteva, come non si doveva.
Attorno alla Commissione Paesaggio, oggi sciolta, giravano cifre da capogiro in consulenze, per un importo che sfiora i quattro milioni di euro. Una cifra che da sola basta a raccontare il problema: non una cabina tecnica per tutelare l’armonia architettonica della città, ma un crocevia di interessi, relazioni, ruoli ibridi e conflitti di interessi mai dichiarati.
Nel frattempo, nel Quadrilatero della moda i prezzi degli immobili sono saliti del 54%, raggiungendo cifre sette volte superiori alla media cittadina e 18 volte superiori alla media nazionale. Milano è diventata una città per chi ha un capitale, non per chi lavora e vive tra i suoi quartieri.
L’inchiesta non si limita a scoprire eventuali illeciti, che sarà la magistratura ad accertare. Mette in luce – con chiarezza e amarezza – il modello di sviluppo che ha prevalso: una città costruita per costruire, dove gli edifici sono ormai asset finanziari, strumenti di investimento per fondi esteri, polizze per grandi gruppi assicurativi, oggetti da impacchettare e rivendere in Borsa. Le case non si costruiscono più per viverci. Si costruiscono per muovere capitali.
Non serviva un’indagine per capirlo. Basta guardare i cantieri, il proliferare di progetti di lusso, l’assenza quasi totale di edilizia popolare o a canone calmierato. Basta ascoltare i milanesi che non trovano più casa, che vengono espulsi dai quartieri centrali, che vivono in affitto instabile e in una città sempre più estranea.
Eppure per anni si è parlato di corruzione solo quando ad arricchirsi erano i politici di professione. Qui, invece, le leve del potere sono state in mano a tecnici prestati alla politica, funzionari, architetti, ingegneri: ruoli meno esposti, ma non per questo meno influenti. Ma dove finisce l’urbanistica e dove comincia l’interesse privato? Il confine è sottile. E attraversarlo, come dimostrano le carte, è stato fin troppo facile.
Insomma a Milano, negli ultimi anni, si è costruito per chi ha il potere di comprare, mai per chi ha bisogno di abitare. Questa è la vera emergenza. Ed è su questa, più che su ogni altro aspetto giudiziario, che la politica – tutta – dovrebbe interrogarsi. Perché dietro ogni palazzo che nasce senza necessità, c’è un diritto che viene tolto a chi la città la abita davvero.
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Cementopoli - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 25 luglio, è disponibile in edicola e in app