Prima e, ora, dopo il vertice Nato dell’Aia sono ripresi di dibattiti senza fine tra i “pacifisti” che oppongono il riarmo perché in contrasto con la pace e chi invece ritiene che il riarmo sia necessario per mantenerla. È un dialogo tra sordi che ripresenta argomentazioni, su entrambi i lati, trite e ritrite, offerte in pasto all’opinione pubblica come fossero nuove e originali. Riassumiamo le posizioni degli uni e degli altri.
Partiamo dai pacifisti. Il riarmo è un errore perché chi è armato alla fine le armi le usa. Non solo: sono stati i nostri atteggiamenti aggressivi (per esempio l’espansione della Nato a Est) che hanno causato una reazione da parte di chi si sentiva minacciato. La cosa migliore è allora non aumentare le spese militari, anzi disarmarci. E, se sorgono controversie, lasciare spazio alla diplomazia. Del resto, l’art. 11 della nostra Costituzione dice che: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Occorre aggiungere altro? La visione pacifista è quella di un mondo in cui gli altri Stati sono innocenti pecorelle che non sono mai aggressive, ma che possono diventarlo, se le si provoca. E, certo, la diplomazia va bene, ma che fai se la controparte non vuole negoziare, ma solo ottenere il massimo dei propri obiettivi? La non violenza va benissimo, ma provala davanti ai mongoli di Genghis Khan e poi ne parliamo! Parentesi: un sottogruppo dei pacifisti lo è a senso unico. Tipo quelli che nel caso della presenza americana in Vietnam gridavano “Yankee go home” e che ora, nel caso russo, si guardano bene dal dire “Russia go home”.
L’altro lato della barricata vede solo un mondo di lupi. Altro che pecorelle! Le pecorelle siamo noi e se qualche altro Paese vuole qualcosa che non ha, lo fa solo perché ha mire di dominio del mondo (o, per lo meno, di una parte del mondo). Armarsi è allora necessario, non perché si vuole combattere, ma perché si vuole la pace. E qui, immancabilmente, si ricorda il motto: “Si vis pacem para bellum”. È la debolezza a causare le guerre. La deterrenza le evita. Mica si può cadere nell’errore di Chamberlain a Monaco nel 1938! Il problema di questa tesi è la sua meccanicità. L’unica cosa che serve è mostrare forza. Ora, a parte il fatto che il tempio di Giano a Roma era quasi costantemente aperto (altro che “si vis pacem”) se anche si sfugge alla tentazione di usare le armi per primi, il riarmo porta al riarmo degli altri, a una escalation che non ha una chiara fine. E poi, una volta armati a sufficienza, perché non approfittarne? Insomma, per evitare una guerra futura in un momento scelto dall’avversario, non è meglio agire preventivamente? Perché aspettare che, per esempio, Saddam Hussein usi le armi di distruzione di massa che senza dubbio ha sviluppato?
Capite bene come sia impossibile trovare un accordo tra queste due posizioni. Quello che ci dovrebbe ispirare è un po’ di buon senso che riconosca come ci sono rischi sia ad armarsi troppo, sia a disarmarsi. Quello che servirebbe davvero sarebbe un ritorno al multilateralismo, la via tentata dopo la Prima guerra mondiale (Società delle Nazioni) e dopo la Seconda (Nazioni Unite, Unione Europea). Ma il sistema multilaterale si sta sfaldando. Se non lo si rimette in piedi presto, potrebbe finire male.