Opinioni
31 luglio, 2025Perché, come ricorda Zerocalcare, teniamo fuori dal campo visivo tutti i nessuno del mondo
Dopo una catastrofe nucleare, Chaos vive in un complesso residenziale abbandonato di Hatfork, dove un personaggio sinistro di nome Kellogg trasferisce nelle menti degli altri i suoi sogni, per dominarli. Avviene in un romanzo di trent’anni fa, Amnesia Moon, scritto da Jonathan Lethem in aperto omaggio a Philip Dick: non è una profezia, ma il ciclico dubbio che porta a chiedersi se il mondo in cui viviamo sia plasmato da sognatori potenti o, come avviene in Matrix, dalle macchine. Il passo successivo è capire che lo spettacolo siamo noi, inconsapevoli come i concorrenti di Squid Game che si uccidono fra loro mentre un gruppo di super ricchi li osserva.
Avviene da secoli, e non ce ne accorgiamo troppo. Ma quando accade qualcosa ai super ricchi siamo pronti ad argomentare, condannare o assolvere. Capita così di chiedersi se i fiumi di parole e meme e persino editoriali spesi per la disavventura degli amanti colti in flagrante dalla kiss cam durante il concerto dei Coldplay sarebbero stati altrettanto numerosi se uno dei protagonisti non fosse stato amministratore delegato di Astronomer, dal momento che i licenziamenti avvengono quotidianamente senza che nessuno commenti, o magari si degni di andare a votare al referendum che riguarda proprio i licenziamenti. Capita di chiedersi se non esista una contraddizione fra l’indifferenza quasi generale per i gazawi fatti a pezzi dalle bombe e per i migranti annegati e il cordoglio per i cinque passeggeri polverizzati nel Titan due anni fa o morti nel naufragio del Bayesian nel 2024: perché il cattivo pensiero è sempre quello, se quei morti non fossero stati ricchi l’effetto sarebbe stato diverso. Gli ultimi, come ricorda Zerocalcare nel suo bellissimo Tutti i nessuno del mondo, uscito su Internazionale una settimana fa, sono quelli che si dimenticano: le gesta di Odisseo vengono cantate, la morte degli sconosciuti che sono conseguenza di quelle gesta viene ignorata, perché l’importante è «tenere fuori dal campo visivo tutti i nessuno del mondo». Un po’ come accade nel romanzo Lapvona di Ottessa Moshfegh, dove i poverissimi abitanti del villaggio simil-medievale da lei inventato non si ribellano, non sognano di rovesciare i governanti: si limitano ad ascoltare le storie di quanto ricchi e preziosi siano i loro banchetti.
Va bene, ci si abitua a tutto, anche al ministro Alessandro Giuli che bacia e spolvera la lapide danneggiata di Giacomo Matteotti, dimenticando che ci sono comportamenti dell’attuale governo che a Matteotti avrebbero fatto ben poco piacere. Ma forse dovrebbe arrivare il tempo in cui abituarsi diventa fatale. In verità è arrivato, come è arrivato altre volte. Per questo, la cosa preziosa di oggi è Hiroshima, il giorno zero dell’essere umano, curato da Luisa Bienati per Marsilio. Il titolo è un omaggio al filosofo Günther Anders, che ben sapeva che il lancio dell’atomica era solo un modo per continuare la guerra con altri mezzi. Il libro raccoglie discorsi e racconti di autori giapponesi. Su tutti, quello di Ibuse Masuij, che si conclude con il corpo di una ragazza morta dopo il bombardamento che affiora da uno stagno dove gli iris fioriscono, con la manica del kimono che galleggia come un pesce rosso. Ma uno dei personaggi dice: «L’iris che fiorisce in questo stagno è folle e appartiene a un’epoca di follia». Che, evidentemente, non ha insegnato molto.
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