Le guerre di religione “di ritorno”. A dirla tutta, non se ne erano mai davvero andate dalle altre parti del mondo, ma ora sono tornate anche nel campo dell’Occidente “allargato”. E, così, all’insegna dell’ennesimo paradosso postmoderno, mentre Venezia veniva requisita per il matrimonio tamarro di Jeff Bezos – ulteriore testimonianza dell’instaurazione dell’“Ancien régime 3.0” e del tecnofeudalesimo – altri echi del Medioevo si fanno tragicamente strada, come giustappunto i conflitti religiosi.
Dal punto di vista simbolico, alcuni dei frammenti di questa «guerra mondiale a pezzi» rimandano, infatti, immediatamente alla componente religiosa dell’immaginario dello «scontro di civiltà». Da ultimo, gli ayatollah iraniani e l’islamismo contro due Paesi occidentali governati dalle destre neopopuliste, che sull’estremismo religioso giudaico-cristiano stanno costruendo la loro identità dichiarata. Così, mentre il cattolicesimo (da Francesco a Leone XIV) invocava – continuando a praticarlo senza sosta – il dialogo interreligioso, questa destra fondamentalista si scontra militarmente con una teocrazia fondata sulla repressione e la menzogna.
E, pertanto, ancora una volta la vittima predestinata coincide con l’Illuminismo, vale a dire il paradigma di pensiero che ha concepito la fede innanzitutto quale dimensione intima, espressione di una sfera morale privata. Un’idea che ha fornito la matrice autentica – liberale e pluralista – dell’Occidente, le cui classi dirigenti, in verità spesso sempre maggiormente prive di convincimenti ideologici “granitici”, miscelano populismo, antipolitica, neoliberismo, profitti e interessi privati (piuttosto evidenti nei casi di Benjamin Netanyahu e Donald Trump) con il neoconfessionalismo e neoconvenzionalismo religioso.
Il riproporsi dello sposalizio fra il trono e l’altare, dunque, come motivo sfacciatamente utilizzato dalla propaganda di questi leader neoreazionari (sovente anche gattopardeschi e trasformisti, per dirla con delle categorie politiche italiane).
Il crollo del Muro di Berlino, nel 1989, aveva spianato la strada alla visione del liberalismo politico ed economico quale concezione condivisa del Villaggio globale, finendo sostanzialmente col coincidere con il neoliberalismo e convertendosi nella narrazione del “pensiero unico” del Washington Consensus. La sua prima declinazione, specialmente nella società anglosassone, aveva preso la forma di un (discutibile) «iperilluminismo» fondato sulle nozioni dell’homo oeconomicus e dell’agire razionale. Ma, da qualche tempo a questa parte, lo scenario risulta drasticamente mutato, e l’Illuminismo e il pluralismo secolare quali incubatori storici della cultura dei diritti prima sono finiti sul banco degli imputati, e poi sono diventati i nemici per antonomasia delle élite populiste che hanno abbracciato un discorso pubblico oscurantista da sventolare come vessillo nelle cultural wars. Fattesi anche “neocrociate” e guerre di religione per il tramite di certi circoli politico-culturali israeliani, dai quali sono venuti contributi essenziali per l’elaborazione ideologica di una destra fondamentalista di orientamento messianico, che ha influito in modo decisivo anche sui mutamenti delle piattaforme dei conservatori e del Partito repubblicano negli Usa.