Venezia, non solo gondole e matrimoni miliardari. Ora si parla anche di cardinali in Laguna. Mentre mezza Italia discute ancora per le nozze dorate di Jeff Bezos tra gondole, velluti e privacy da miliardari, Venezia torna sulla mappa. Ma stavolta non per gli anelli, bensì per le porpore. Sì, perché secondo voci sempre meno sussurrate nei corridoi del Vaticano, papa Prevost starebbe per riportare a casa uno degli uomini più fidati di Francesco: monsignor Pietro Parolin, attuale Segretario di Stato, pronto a tornare nella sua Venezia per occupare il Patriarcato.

 

Una mossa che suona molto più politica che pastorale. E se Parolin saluta, il totonomi per il suo successore è già partito. Al comando della diplomazia vaticana potrebbe arrivare monsignor Giordano Caccia, attuale Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite. Uno che sa come muoversi tra le pieghe delle crisi internazionali, ma che – dicono – non dispiace agli ambienti Oltretevere che contano più delle preghiere.

 

Intanto, in Vaticano si fa finta di nulla. Silenzio stampa, sorrisi rigidi e smentite mai troppo convincenti. Ma chi frequenta Santa Marta sa bene che l’estate sarà calda, e non solo per il meteo: i movimenti interni curiali stanno preparando un autunno di rimescolamenti pesanti. Insomma, Venezia torna di moda. Dopo i miliardi di Bezos, arrivano i cardinali.

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Altro che rinvio: tutti vogliono votare, ma nessuno sa quando. «C’è voglia di urne, ma solo se fanno comodo». Nel valzer delle elezioni regionali che ogni Regione può fissare per conto proprio, il risultato è uno solo: il caos. O meglio, un caos controllato, dove ogni decisione sulla data è in realtà un’arma puntata contro l’avversario (e spesso anche contro l’alleato). Nel centrodestra e nel centrosinistra le discussioni non riguardano tanto i programmi, ma il calendario. L’ipotesi election day piace a Palazzo Chigi, ma non a tutti i governatori. Meglio evitare una campagna elettorale tra mojito e ombrelloni, pare. Così l’ipotesi più probabile resta ottobre, anche se nessuno la vuole ammettere apertamente.

 

Partiamo dalle Marche, dove Francesco Acquaroli, meloniano doc, punta al bis e starebbe per convocare il voto già a settembre (secondo o terzo weekend). Una mossa da scacchista: battere tutti sul tempo e sfruttare la rendita dell’incarico uscente. A sfidarlo, Matteo Ricci. Il suo sogno? Votare “come in Toscana”, cioè a metà ottobre. Così, dicono, si vincono i confronti, si scalda la piazza e si cuociono gli avversari a fuoco lento. In Toscana, Eugenio Giani ha deciso: si voterà il 12 o il 19 ottobre. Resterà in campo? Probabile. Ma ufficialmente ancora niente. Il bilancio «è positivo», dice lui, mentre tutti aspettano che i partiti si mettano d’accordo sul suo nome come si aspetta l’apertura dei saldi.

 

Nel frattempo, nel laboratorio impazzito del centrosinistra, tutto è sospeso tra le trattative con Giuseppe Conte, la diplomazia parallela con Vincenzo De Luca, e la scelta dei candidati come se si stesse componendo una squadra per “Ballando con le Stelle”. In Campania si fa il nome di Roberto Fico, che però De Luca non vuole neanche in cartolina. Il patto prevede che il candidato spetti ai 5 Stelle, ma tra “unità” e “orgoglio territoriale”, il rischio implosione è dietro l’angolo. In Puglia l’ex sindaco di Bari Antonio Decaro, recordman alle Europee, è già in fase di riscaldamento. In Veneto, invece, tutto ruota attorno a una sola domanda: che farà Luca Zaia?

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