Opinioni
1 agosto, 2025Uno spreco di risorse per degli inutili centri per migranti fuori dalle norme del diritto europeo
Re Giorgia d’Albania fu il titolo con il quale, (numero 11, 15 marzo 2024), L’Espresso rivelò l’astronomica previsione di spesa dei centri di detenzione per migranti che Giorgia Meloni volle fortissimamente a Gjader e Shengjin, sull’altra sponda dell’Adriatico. Si era in vista della campagna per le Europee e la statista di casa nostra, con sprezzo del pericolo contabile, vagheggiava di ergere la sua trovata a modello per altre solide democrazie europee dando il via subito a una spesa da 133 milioni di euro che, sono parole sue, costituivano «un investimento». Perché avremmo risparmiato in respingimenti contando sull’effetto deterrenza, tutto da verificare. «Si apre entro il 20 maggio», annunciò. In puro stile italiano, che ama l’urgenza se c’è un affidamento milionario di mezzo, un po’ meno se è soltanto questione di puntualità, si andò per le lunghe. A settembre si era ancora «a fra qualche settimana». Si arrivò all’11 ottobre. E il 14, a dieci bengalesi e sei egiziani soccorsi in mare fu concesso di inaugurare le strutture deserte, destinate a rimanere tali, tra agenti mandati lì a rigirarsi i pollici. L’esibizione meloniana era accompagnata con un sontuoso esibirsi di scatenati adulatori. Una corsa a sottolineare quanto fosse stata apprezzata l’idea non solo nelle cancellerie del Vecchio Continente ma, una volta rieletto, dall’amico Donald Trump dall’altra parte dell’Oceano.
Un successo planetario davanti al quale, plasticamente, Edi Rama si prostrò calorosamente ringraziando il munifico corso di neocolonialismo autolesionista italiano. Il 18 a gelare l’entusiasmo del trio Meloni, Piantedosi, Salvini, con qualche timido applauso di Tajani, arrivarono i giudici della sezione immigrazione di Roma che non convalidarono il trattenimento in remoto: rotta su Bari per rispedire in Italia i richiedenti asilo. In Consiglio dei ministri ci si industriò per aggirare i magistrati non potendoli piegare, avventurandosi in sbrigativi giudizi di sicurezza sul conto di Paesi devastati da guerre civili sanguinarie, con al comando despoti di ogni risma. Il coniglietto bianco da esportazione tirato fuori dal cilindro di una spesa pubblica che ingoiava capitoli su scuola e sanità prendeva le sembianze di un mostriciattolo assai vorace.
Come aveva già calcolato a marzo 2024 il nostro Carlo Tecce, il prodigio non di una ma di due prigioni tirate su dal nulla ci sarebbe costato da 700 milioni a un miliardo di euro in cinque anni. E intanto alcuni milioni erano già andati. Quanti per l’esattezza? I conti li hanno fatti qualche giorno fa ActionAid e l’Università degli studi di Bari. La trovata meloniana ci è costata 114 mila euro al giorno per 5 giorni. Che vanno a sommarsi ai costi per realizzare le strutture, ovvero contratti per 74 milioni di euro. Ogni posto in Albania avrebbe un costo di 153 mila euro contro i 21 di Porto Empedocle, Agrigento, Italia. Questione di soldi, certo e di diritto. Perché a maggio la Cassazione, smentendo se stessa, ha rinviato alla Corte di giustizia dell’Ue la decisione se il trasferimento dei migranti in Albania sia compatibile con la legislazione europea. A oggi l’operazione Albania si è concretizzata come la scenografia più costosa e inutile che il teatrino dei simboli della politica securitaria abbia allestito. Ma si sa, la società dello spettacolo non va per il sottile. Lo show è tutto.
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