Politica
1 agosto, 2025Dopo la sentenza della Corte Ue, parla la presidente di Md, giudice della sezione Immigrazione di Roma che per prima non ha convalidato i trattenimenti dei migranti in Albania
“Io sono sempre stata serena perché ero e sono assolutamente convinta di aver fatto solo il mio lavoro, cioè applicare il diritto dell’Unione europea”. C’è anche un pizzico di soddisfazione personale nelle parole della presidente di Magistratura democratica Silvia Albano che, da giudice della sezione Immigrazione del tribunale di Roma, ha fatto parte del collegio che, per primo, il 18 ottobre del 2024 non ha convalidato il trattenimento di 12 migranti – otto provenienti dal Bangladesh e quattro dall’Egitto – rinchiusi negli hotspot creati dal governo Meloni in Albania. Da lì una serie di pronunce si sono mosse sempre nella stessa direzione, fino all’importante sentenza di oggi – primo agosto – con cui la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che “uno Stato membro non può includere nell’elenco dei Paesi di origine sicuri” un Paese che “non offra una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione”. Mettendo un'ipoteca sul protocollo sui miranti firmato con Tirana. Che, in attesa della sentenza odierna, era stato modificato dal governo, con i centri al di là dell’Adriatico che da hotspot per le procedure accelerate di frontiera sono diventati “semplici” Cpr.
"Si è voluto dare un significato politico alle nostre sentenze"
“Sono sempre stata convinta di aver fatto il mio lavoro perché ci eravamo basati su un’altra sentenza della Corte di giustizia Ue, del 4 ottobre precedente, che era già chiarissima”, spiega Albano a L’Espresso. Per quella pronuncia la giudice era finita in un tritacarne mediatico-politico e messa sotto tutela per le minacce. Un bersaglio intuitivo per certa destra, perché anche presidente di Magistratura democratica, e quindi definita una “toga rossa”.
La sentenza dei giudici del Lussemburgo a cui fa riferimento Albano sostiene, sinteticamente, che la designazione di un Paese come “sicuro” – prerequisito di provenienza per i migranti che possono essere sottoposti alle procedure accelerate di frontiera, quelle previste dal protocollo Italia-Albania – dovesse estendersi all’intero suo territorio e non potesse essere limitata a parti di esso o a specifiche categorie di persone. “La sentenza di oggi – continua Albano – riprende tutti gli argomenti del 4 ottobre e ne fa riferimento esplicito. Le nostre pronunce sono state strumentalizzate, gli si è voluto dare un significato politico di opposizione al governo che in realtà non aveva. E la sentenza di oggi lo dimostra”.
"Le nostre verifiche non erano abritrarie"
Dopo quella prima pronuncia che, di fatto, evidenziava le prime crepe del costosissimo progetto Albania, il governo si era mosso per cercare di metterci una toppa e dopo pochissimi giorni – il 23 ottobre del 2024 – aveva approvato un decreto legge che includeva, in una fonte primaria e non più in un decreto interministeriale, la lista dei Paesi ritenuti “sicuri”. Così che, come detto dal ministro della Giustizia Carlo Nordio in conferenza stampa, non potesse più venire disapplicata. La sentenza odierna della Corte europea dice anche un’altra cosa importante. E cioè che uno Stato europeo “può designare Paesi d’origine sicuri mediante atto legislativo, a patto che tale designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo”. Come avvenuto, di fatto, negli scorsi mesi.
“Noi prima abbiamo disapplicato, poi abbiamo mandato tutto alla Corte di giustizia. Dopo soli cinque giorni è uscito un decreto legge in chiara risposta ai nostri provvedimenti. Oggi da Lussemburgo – continua la presidente di Magistratura democratica – si ribadisce che il giudice ha il dovere di verificare la legittimità della designazione; verifica che non è arbitraria ma che deve sottostare alle norme europee”, come la direttiva del 2013 che, a legislazione vigente, stabilisce che un Paese è considerabile “sicuro” solo se lo è nella sua interezza e per tutti.
"La lista dei Paesi sicuri costruita sulla base delle nazionalità dei principali flussi migratori"
Il governo nel frattempo ha tentato un altro stratagemma, cioè togliere la competenza alle sezioni Immigrazione dei tribunali, considerate più ideologizzate, trasferendola alle Corti d’appello. Ma anche le loro sentenze sono andate tutte nella stessa direzione. “Oggi la Corte europea dà ragione all’interpretazione che avevano dato molti giudici delle sezioni Immigrazioni che, in più occasioni, si erano rivolti alla Corte. Non era una decisione isolata dei giudici di Roma – prosegue Albano – e questo ha portato il governo a sportare la competenza. Non ho ben chiaro l’obiettivo che volevano raggiungere. La lista dei Paesi sicuri, poi, era stata costruita sulla base delle nazionalità dei flussi migratori principali”, come per esempio Bangladesh ed Egitto, inseriti nell’elenco a maggio del 2024, quando il progetto Italia-Albania stava quasi per vedere la luce. E nello scorso anno Bangladesh ed Egitto sono stati, rispettivamente, primo e quarto Stato di provenienza dei migranti sbarcati sulle nostre coste.
Cosa ne sarà del Protocollo Italia-Albania?
Che ne sarà, ora, del protocollo firmato con Tirana? Già a fine marzo il governo aveva cambiato destinazione d’uso agli hub al di là dell’Adriatico, trasformandoli in Cpr. Anche su questo punto non sono mancate alcune criticità, con la Cassazione che a giugno ha sollevato due quesiti ancora di fronte alla Corte di giustizia Ue per verificarne la compatibilità con il diritto dell’Unione. Ma c’è una data che potrebbe far tornare operativi i centri in Albania così come pensati in origine: il 12 giugno 2026, quando entrerà in vigore il nuovo Regolamento europeo che introdurrà eccezioni per categorie di persone chiaramente identificabili, anche che provengono da Paesi non ritenuti interamente sicuri. In fondo, sono stati gli stessi giudici del Lussemburgo a sottolineare che quanto stabilito nella pronuncia odierna è valido fino al luglio del prossimo anno e che “il legislatore europeo può anticipare la data”.
"Il nuovo Regolamento non risolverà questi problemi"
Ma nonostante questo, per la giudice Albano non si andrebbe comunque incontro a conclusioni molto diverse. “Il nuovo Regolamento ‘Procedure’ non risolverà questi problemi. In primo luogo perché prevede che le zone di frontiera possono essere previste solo nel territorio europeo, e l’Albania non ne fa parte. E poi – spiega – quando si parla di ‘persone chiaramente identificabili’ ci si può riferire, per esempio, alle donne che vengono dall’Afghanistan, agli albini per certi Paesi dell’Africa. Ma tutte le altre minoranze oggetto di persecuzioni necessitano di un’istruttoria (che non viene prevista nelle procedure accelerate di frontiera, ndr), non sono chiaramente identificabili: penso – conclude – alle persone omosessuali, alle vittime di tratta, eccetera”.
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