Opinioni
7 agosto, 2025In cosa consiste la rigenerazione della città. E perché la sinistra si fa piacere ciò che non le corrisponde
Se non fossimo qui a ragionare di conclusioni, provvisorie quanto si vuole, ma pur sempre conclusioni, e ci trovassimo invece di fronte a premesse, la pretesa rigenerazione urbanistica di Milano, certa sinistra l’avrebbe non solo bocciata, ma denunciata e smascherata come «il sacco di Milano». Un irriverente vignettista avrebbe apposto al volto di Sala la chioma bianca di Salvo Lima e, adattandone lo slogan delle amministrative palermitane del 1964, gli avrebbe fatto dire: “Milano è bella, facciamola più bella”.
Certa sinistra non si sarebbe trincerata dietro argomenti da legulei sulla sussistenza di alcuni reati, ma ne avrebbe colto l’opportunità, tutta logica, per rivendicare il primato della politica, la sua preveggenza, la sua capacità di disegno strategico, ben prima, e oltre, la constatazione giudiziaria del danno.
Il lodevole intento di migliorare gli spazi, nel governo di una città, non dovrebbe concedere troppe deroghe al rigore dei principi. Il primo e più banale dei quali è che se espelli i ceti più deboli da un tessuto urbano, facendo schizzare le rendite immobiliari alle stelle, perdi molto dell’anima dei luoghi.
E, nello specifico, tradisci le aspettative di chi ancora ti vota credendo in cose ormai logore come il diritto all’abitare, la giustizia sociale, l’equità, le pari opportunità del merito garantite dalla riduzione del gap tra potenzialità individuali e opportunità reali. Deludi chi invoca servizi. Pubblici, essenziali e anche meno impellenti, ma altrettanto necessari. Frustri chi crede in una società accogliente e inclusiva. Che non cede alle paure indotte dalla propaganda, ma che ogni giorno si dà dei limiti e pretende che gli altri facciano altrettanto.
Se ti inchini allo strapotere del capitale privato pur di ristrutturare ampie porzioni di territorio e non negozi compensazioni sufficienti a tenere in equilibrio l’interesse pubblico, ammesso che quello sia l’obiettivo, con la speculazione dei palazzinari, perdi tanto terreno e guadagni solo mattone a cifre inarrivabili, da contemplare.
Se dall’accademia non pretendi un disegno organico di sviluppo, coerente con quelli che dovrebbero essere i tuoi ideali a sostegno dell’azione politica, perdi mille occasioni. Se fai atterrare su una pianta singoli, episodici, esercizi di stile creativo e non ti interroghi su cosa farai prima, dopo, davanti e dietro le mirabilie, perdi l’occasione per disegnare uno sviluppo. Che accompagni la crescita della città e dei suoi abitanti. Se non vedi, nell’abbacinante promessa di futuro, tutti i conflitti di interesse che si affollano nel tuo inner circle e all’orizzonte, baratti la soluzione con il metodo. Che è ciò che dovrebbe fare la differenza tra te e quegli altri al governo del Paese. Se non ti interroghi ogni giorno sulla direzione che sta prendendo ciò che stai contribuendo a fare, se non ti domandi cosa vorresti che fosse, facendoti bastare ciò che sta diventando, rassicurandoti che, dai, in qualche modo, le corrisponde, hai negoziato al ribasso ideali, principi e regole.
Dovrebbe essere sufficiente questo per tirare delle somme. Che, a questo punto, non sono del singolo ma di chiunque lo sostiene. Ma, siccome certe urgenze del cortile della politica non riconoscono il significato della parola vergogna, meglio un sostanziale rassicurante silenzio, in luogo di una dilaniante riflessione sulla consistenza della propria supposta alterità.
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