Opinioni
8 agosto, 2025Dialogo e non riarmo: parole di chi non ignora la complessità, ma esalta la responsabilità
Il coraggio della speranza. A volte, la forza della verità sta nella sua semplicità. È la sensazione che abbiamo provato ascoltando la voce di un uomo vestito di bianco che, di fronte a un milione di giovani a Tor Vergata, proclama: «I conflitti non si risolvono con le armi, ma con il dialogo».
Papa Leone XIV ha scelto Roma, e ha scelto i giovani, per il suo primo grande bagno di folla da Pontefice. Un milione di volti, un’energia collettiva, un’umanità in cerca di risposte. A loro ha parlato con parole semplici: fraternità, amicizia, giustizia, pace. E proprio mentre nel mondo divampa il fuoco della guerra – da Gaza all’Ucraina – questo Papa, che molti ancora stanno imparando a conoscere, ha offerto un’alternativa radicale: non una pace imposta dall’alto, ma una pace costruita dal basso, dalle relazioni umane, da scelte morali, da una visione diversa dell’altro.
Il suo messaggio assume oggi un significato dirompente. Proprio mentre Benjamin Netanyahu pensa all’occupazione totale della Striscia di Gaza, con il tacito assenso di Donald Trump, e mentre Vladimir Putin intensifica i bombardamenti sull’Ucraina, annunciando la moratoria sui missili a corto e medio raggio, Leone XIV pronuncia parole chiare: «Siamo con i giovani di Gaza, siamo con i giovani dell’Ucraina, con quelli di ogni terra insanguinata dalla guerra».
Non c’è neutralità in questo messaggio. C’è presa di posizione dal significato potentemente politico: una denuncia silenziosa ma eloquente contro il riarmo globale, compreso quello annunciato dall’Unione europea, contro l’illusione ormai smascherata che più armi possano produrre più sicurezza.
È un Papa che rifiuta la logica del “male minore”, che non accetta l’idea che la pace debba passare per la forza. Che invita, piuttosto, a invertire il paradigma: quando lo strumento domina sull’uomo, l’uomo diventa uno strumento. Una frase che suona come un monito per l’Occidente tecnologico e militarizzato, dove spesso l’efficienza vale più della dignità, dove l’algoritmo prevale sul legame umano.
Tre, in particolare, i messaggi lanciati ai giovani. La dignità della persona al centro, prima dello strumento, prima del potere. L’amicizia come strada concreta per la pace, non come parola da oratorio, ma come pratica civile. E infine la speranza come responsabilità, da testimoniare ogni giorno, con scelte pubbliche e private. Insomma una sorta di enciclica vivente, l’incontro di Tor Vergata, che chiama a raccolta un’intera generazione.
Il Papa ha chiesto ai presenti di portare il suo saluto a chi non ha potuto esserci: «In tanti Paesi da dove era impossibile uscire per le ragioni che conosciamo». Una sorta di riconoscimento implicito di un mondo diviso, oppresso, ferito. Ma che si trasforma in un gesto di fiducia quando Leone XIV dice ai giovani: «Voi siete il sale della Terra, la luce del mondo. Voi siete il segno che un mondo diverso è possibile». Nel linguaggio della fede, queste parole parlano di missione. Ma nella lingua della politica e della società, diventano l’invito a una responsabilità collettiva.
E così, in un mondo che oggi sembra scivolare verso la rassegnazione, Prevost rilancia una sfida: credere che il cambiamento sia possibile. Non con l’ingenuità di chi ignora la complessità, ma con la forza di chi sa che un’altra strada esiste.
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