Opinioni
17 settembre, 2025I colossi della tecnologia godono di una sostanziale impunità. Grazie alla vicinanza al presidente
Una sentenza, una decisione e un’immagine ben descrivono il continuo e crescente potere che il Big Tech (le grandi multinazionali della tecnologia informatica) esercita nel mondo moderno.
La sentenza arriva dagli Stati Uniti. Un giudice federale ha condannato Google in una causa relativa alle sue sospette pratiche monopolistiche. Una lettura superficiale della notizia porterebbe a concludere che questa sia una sconfitta per il colosso americano. In realtà la condanna comporta principalmente che Google debba condividere dati di ricerca con società concorrenti e altre misure di portata limitata. Ma Google non sarà obbligata a vendere nessuna sua componente (Chrome, si diceva), evitando quella che effettivamente sarebbe stata un’azione di sostanziale importanza. È continuato quindi l’approccio seguito dalla giustizia americana negli ultimi decenni in campo di pratiche anti-monopolio: quella di intervenire con azioni di portata limitata, evitando di agire con misure per cambiare la struttura societaria delle imprese coinvolte (l’ultima rilevante operazione di questo tipo fu lo “spezzettamento” della compagnia telefonica AT&T nel lontano 1982). Risultato: dopo la sentenza il valore di mercato di Google è aumentato del 6 per cento.
La decisione è quella della Commissione europea di infliggere, sempre a Google, una multa di quasi 3 miliardi di euro (3,5 miliardi di dollari al cambio attuale) sempre per violazione delle norme anti-monopolio. Qui si potrebbe pensare di trovarsi di fronte a un intervento di grande forza. Tre miliardi non sono noccioline. Ed effettivamente la Commissione europea ha mostrato in passato una volontà di intervento attraverso multe molto più consistenti di quella mostrata oltre Atlantico. Però mettiamo le cose nella giusta prospettiva. L’utile di Alphabet (la società madre di Google) è stato nel 2024 di 100 miliardi di dollari. Dati i risultati nella prima metà del 2025, l’anno potrebbe concludersi con un utile di 120-130 miliardi di dollari. Per quanto spiacevole possa essere dover pagare qualcosa che equivale al 2,5-3 per cento dell’utile annuale, non si tratta certo di multe che possano costituire una deterrenza, alterando i comportamenti rispetto a pratiche monopolistiche per il futuro.
L’immagine è quella dei 33 leader del Big Tech americano a cena alla Casa Bianca qualche giorno fa. Tra questi primeggiavano Mark Zuckerberg (Meta/Facebook), Bill Gates (Microsoft), Tim Cook (Apple), Satya Nadella (Microsoft), e Sam Altman (Open Ai). No, Elon Musk non c’era, ma si capisce vista la recente rottura col presidente americano. Questi hanno profuso lodi sperticate a Trump. Ma un tale evento, che segue la massiccia presenza dei leader del Big Tech alla cerimonia di inaugurazione del gennaio scorso, conferma il rapporto privilegiato che questi ultimi hanno con la presidenza americana dopo il cambiamento di colore alla Casa Bianca e in contrasto con il tentativo di Biden di porre freno a quello che quest’ultimo ha definito, nel suo discorso di commiato al popolo americano, il «complesso tecno-industriale» che rischia di minacciare lo stesso tessuto della democrazia americana. Tutto questo conferma che la questione del forte e crescente potere economico e politico del Big Tech resta attualissimo, e che probabilmente sarà un elemento caratterizzante di questo secolo.
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