Opinioni
19 settembre, 2025l numero delle vittime aumenta tra gli stranieri. Pochi controlli e indagini a singhiozzo
Se celebrassimo un funerale collettivo dovremmo sistemarle in due campi da basket: 607 bare allineate li occuperebbero per intero. E forse capiremmo la carneficina quotidiana che rende vuota un’espressione come sicurezza sul lavoro. Le statistiche raccontano che il numero dei morti nei primi sette mesi del 2025 aumenta anziché diminuire, +5,2 per cento, secondo i dati provvisori Inail. Perché la realtà se ne infischia degli slogan e dei proclami della propaganda, dei rituali pugni di ferro, di strette e mano pesanti, tavoli tecnici, e patenti a punti.
Con controlli al lumicino, verifiche saltuarie, pochi ispettori e giustizia (s)programmata per schiantarsi sulla prescrizione, siamo al cordoglio di facciata. Così si va al cantiere o al volante come alla roulette russa, in fabbrica come al mattatoio. Nei campi o negli allevamenti a distruggersi di fatica o nella trappola di qualche ingranaggio. In questo quadro, gli altri, quelli venuti da lontano, hanno una probabilità due volte e mezzo più alta rispetto agli italiani di perdere la vita sul lavoro, secondo gli studi di settore. Spesso invisibili, sfuggono persino ai conteggi ufficiali. A scorrere le cronache, difficile non crederlo. E d’altra parte sono le cifre ufficiali a dire che calano gli infortuni dei locali e aumentano quelli dei lavoratori stranieri.
Come il bracciante indiano abbandonato morente con il braccio amputato dopo un incidente, come i tre operai cinesi carbonizzati nell'incendio di Prato, come il rumeno schiacciato da una gru a Milano. Muoiono di più anche nel tragitto casa-lavoro. Sui mezzi di fortuna del nuovo bracciantato, nella gimkana che è l’andirivieni in orari impossibili da e verso luoghi lontani in cui è difficile accorgersi che ci sono e che non ci sono più.
Sfruttati da vivi, scomparsi da morti. “Operaicidio”, è il neologismo coniato dal magistrato Bruno Giordano e dal giornalista Marco Patucchi (Marlin, 2025) per sopperire alla carenza lessicale dell’insopportabile ipocrisia sulle “morti bianche”, una tragedia civile che supera in vittime quelle delle stagioni di sangue mafioso.
Basta affondare il coltello per smetterla di bearsi dell’incremento dei controlli e constatare che in circa tre imprese ispezionate su quattro sono emerse irregolarità. Gare con ribassi vertiginosi, subappalti su subappalti, società fantasma, false cooperative: per un cadavere nella polvere, c’è un padrone che gioca a nascondino, dietro scatole cinesi, incastri societari, scarichi di responsabilità. Quando, raramente, esce suo malgrado allo scoperto ed è alla sbarra, guarda il calendario, traccheggia con i cavilli, lascia scorrere le lancette anche fino al massimo, tra interruzioni e sospensioni, dei 17 anni e mezzo di prescrizione. Fa di tutto per ritrovarsi nel lotto del milione e mezzo di processi in dieci anni risoltisi all’italiana. L’unica vera giustizia a orologeria.
Qui il tempo non è mai un rimedio. Non lo è per i 1.202 morti ufficiali del 2024 che fanno tre bare al giorno. Uccidere un operaio può non essere più un reato. Soprattutto se si sceglie bene la vittima. Soprattutto se straniera e irregolare. E quando riusciranno a contarla, resterà solo un altro numero nell'aritmetica del massacro.
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