Opinioni
23 settembre, 2025Articoli correlati
Le critiche a Bruxelles lasciano sullo sfondo gli egoismi locali che frenano l’Unione
Torno sul tema della disunione europea. I critici dell’Ue si dividono in due gruppi. Il primo è quello dei nazionalisti puri, quelli che pensano che sia sbagliato aver creato un’Unione perché i popoli del Continente sono divisi da troppi secoli di storie diverse. Questo è un gruppo piuttosto ristretto. Il secondo gruppo, molto più ampio, è quello di chi non critica (o non osa criticare) apertamente l’Unione ma dice: «Io sono a favore dell’Ue, ma non di questa Ue». All’interno del secondo gruppo ci sono diverse varianti. Alcuni enfatizzano il predominio in «questa» Ue di alcuni Paesi (Germania e Francia i più gettonati), altri pensano che qualcuno abbia deviato dagli ideali dei padri fondatori, altri ancora ritengono che le colpe siano dei «burocrati di Bruxelles» che invece di occuparsi dei problemi fondamentali regolamentano la curvatura delle banane (Boris Johnson dixit). Io credo che i membri del secondo gruppo non capiscano (o fingano di non capire) che i problemi che individuano, compresi gli eccessi di burocrazia e i bizantinismi delle regole europee, siano proprio il riflesso di quel nazionalismo che è riconosciuto apertamente dai membri del primo gruppo, un nazionalismo che alimenta un clima di sfiducia e una mancanza di volontà di cedere sovranità alle istituzioni europee e che genera tutti gli altri problemi. Facciamo qualche esempio.
Primo, il Parlamento europeo si riunisce una settimana al mese a Strasburgo, invece che a Bruxelles con costi di spostamento di oltre di cento milioni l’anno. Soldi buttati via anche se non sono certo questi 100 milioni a fare la differenza in un bilancio annuale di 200 miliardi. Di chi è la colpa? Dei burocrati della Commissione che amano fare un giro in Francia una volta al mese? La realtà è che, per motivi di prestigio, la Francia si è sempre opposta a rinunciare a questo privilegio.
Secondo, le regole europee, per esempio sui conti pubblici, sono sempre state troppo complicate. Mente malata di qualche funzionario? La verità è che la Commissione deve tener conto dei desiderata dei vari Stati membri, ognuno dei quali si impunta su un certo aspetto. In generale, la complicazione nei regolamenti e nelle direttive europee deriva da una mancanza di fiducia negli altri Stati membri che richiede di regolamentare cose che potrebbero esse lasciate al buon senso o alla pratica stabilita nel tempo.
Terzo, abbiamo un’unica politica di dazi, ma ogni Paese ha ancora la sua Agenzia delle Dogane per implementare quella politica e ognuna di queste agenzie ha le sue procedure, un problema che è stato elencato dai negoziatori americani durante le recenti discussioni sui dazi, visto che le loro imprese diventano matte nell’interagire con 27 diverse Agenzie delle Dogane. Anche questo riflette la difficoltà di cedere sovranità a un’unica Agenzia europea.
Dulcis in fundo. La più grande direzione generale della Commissione europea è quella delle traduzioni. Oltre 2.100 persone impegnate a tempo pieno nella traduzione dei testi nei 24 idiomi ufficiali della Ue, visto che nessuno vuole accettare un’unica lingua ufficiale (per esempio, l’inglese). E la Spagna vorrebbe che fossero aggiunti all’elenco Catalano, Basco e Galiziano.
Poi prendiamocela pure coi burocrati di Bruxelles, ma il problema resta molto più profondo: non ci sentiamo abbastanza europei per rinunciare ai nostri nazionalismi.
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