Opinioni
25 settembre, 2025Per scelta o per vendetta, comunque in affari e a mano armata. Ritratti di “Madrine”
Per anni mi sono occupata di organizzazioni criminali. Ho viaggiato da sola, dall’Aspromonte alle Vele di Scampia, passando per il Nord Italia, alla ricerca dei protagonisti della scena criminale. Ho raccolto le voci di magistrati, pentiti, di madri, sorelle e mogli che potessero ricomporre il mosaico e restituirci l’evoluzione del sistema mafioso.
Un giorno, chiusa in auto con un uomo che entrava e usciva dal carcere da quando era piccolo e aveva deciso di cambiare vita grazie alla lettura della Bibbia e alla morte per droga di due figli, quest’ultimo è esploso in un pianto disperato.
Sua moglie si vergognava, nel quartiere, del suo pentimento. In quel momento avevo visto l’uomo, con tutti i suoi limiti, gli errori, il male con il quale combatteva dall’adolescenza. Non ho mai dimenticato quell’incontro. Da tempo non provavo emozioni così forti come da quando ho chiuso un libro di cui sento l’urgenza di parlarvi.
Parla di donne dentro, non accanto al male. Non solo vittime o spettatrici passive della ferocia maschile. Non semplici imitatrici di un modello patriarcale e criminale. Le donne che Barbie Latza Nadeau racconta nel suo libro “Le Madrine” (Vanda Edizioni), hanno scelto di esercitare il potere con crudeltà, senza ingenuità come spesso hanno raccontato. Lo hanno fatto non malgrado siano donne, ma in quanto donne.
L’autrice parte dalla figura iconica – e controversa – di Pupetta Maresca, Lady Camorra, prima donna a sparare per vendetta. Era il 1955 e suo marito, il boss Pasquale Simonetti, era stato ucciso. Lei, diciottenne e incinta, prese una pistola e giurò: «Vendicherò la sua morte». Sfogliando con la giornalista l’album di nozze, le ha confidato: «Non mi hanno lasciato altra scelta. La giustizia dovevo farmela da sola. Qualche giorno dopo Pupetta seppellì il suo amato, che continua a chiamare il Principe Azzurro e giurò sulla sua tomba di vendicarne la morte. All’epoca non erano molte le donne che osavano fare affermazioni simili. Furono giorni lunghi e solitari, mi confidò. Pupetta incolpa la polizia, sostenendo che non le lasciarono altra scelta se non quella di farsi giustizia da sola».
La giornalista americana residente in Italia, ha già firmato Angel Face, sull’omicidio di Meredith Kercher, e Roadmap to Hell, sul traffico di donne nigeriane. Questo libro, tradotto per la prima volta in italiano, è stato recensito dal New York Times e pubblicato in sei Paesi. Ma è in Italia che vibra in modo più profondo: qui dove la mafia ha ucciso magistrati e giornalisti, ma non è riuscita a spegnere le loro parole.
Barbie Latza Nadeau non cerca la morale, ma la verità. Non semplifica, non assolutizza. In un tempo in cui la cronaca tende al sensazionalismo, il suo sguardo si posa sul confine sfumato tra colpa, contesto e identità. E in un passaggio che parla a tutti noi che questo mestiere lo viviamo con rispetto e passione, scrive: «La parte più difficile di questo libro è stata accettare quanto mi piacessero le persone che incontravo. Più volte mi sono chiesta cosa sarebbero diventate se non fossero nate con un destino segnato nel mondo criminale. E, al tempo stesso, mi sono domandata come chiunque di noi si sarebbe comportato in quelle stesse condizioni».
Questa è la domanda che anima la più scomoda ricerca di verità.
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