Opinioni
30 settembre, 2025Apple e i colossi hi tech fatturano miliardi con i minerali del Congo. Estratti in condizioni disumane
«Facilitatori di genocidio da questa parte» si legge su un cartello fuori dall’Apple store di Londra, dove centinaia di persone aspettano l’uscita dell’iPhone 17. Da Kinshasa, le mobilitazioni si sono diramate in diverse parti d’Europa e del mondo lo scorso 19 settembre in occasione del lancio del nuovo telefono Apple. Ad Amsterdam, su un cartello si legge: «Il Congo sanguina, Apple fa profitti». A Kinshasa una manifestante grida: «Inizia a lottare per riprenderti ciò che è tuo». Anche l’anno scorso, in occasione del lancio dell’iPhone 16, c’erano state diverse mobilitazione in tutto il mondo che chiedevano di boicottare il gigante del tech per le violazioni di diritti umani in Congo e nei territori palestinesi. I comitati, locali e internazionali, continuano a chiedere ai consumatori il boicottaggio di una filiera tecnologica che si arricchisce sullo sfruttamento delle risorse naturali e del lavoro. Si parla principalmente della Repubblica Democratica del Congo, dove si estrae la metà del cobalto del mondo, ma anche oro, diamanti e coltan. Sia il cobalto che il coltan sono utilizzati nell’elettronica e i principali acquirenti sono i governi occidentali e aziende come Apple, Tesla e Microsoft.
In Congo, da trent’anni, si parla di “Genocost” ovvero di un “genocidio in corso per motivi economici”. Si stima infatti che l’economia del tech nel Paese abbia causato la morte di oltre 15 milioni di persone. Secondo Amnesty International, 40mila bambini, alcuni dei quali di appena sei anni, sono stati coinvolti nell’estrazione di minerali, lavorando in condizioni difficili, pericolose e mortali. Nel 2024 l’organizzazione non profit “Raid” ha pubblicato un rapporto sull’impatto devastante dell’inquinamento tossico causato dall'estrazione del cobalto sulle comunità e sul clima del Congo.
Il cobalto, spiega il rapporto, ha causato gravi problemi di salute ginecologica e riproduttiva per le persone che vivono vicino alle più grandi miniere. Inoltre, l’impatto mortifero sui raccolti ha decimato i redditi della popolazione locale, spinte ancora di più sulla soglia della povertà e della fame. L’estrazione delle materie prime dei giganti del tech ha un impatto devastante sulle comunità congolesi da un punto di vista sanitario, sociale e scolastico e ha un ruolo centrale nel muovere e sconvolgere gli equilibri nel Paese. Per questa ragione dalle piazze il messaggio principale è la pace: il cobalto e il coltan portano, prima di tutto, conflitti e violenze. In Malesia, all’interno dell’Apple Store un coro di voci intona: «Senti il tuo iPhone squillare? È fatto dalla violenza e dallo stupro».
Il Congo ha anche denunciato le filiali di Apple in Francia e Belgio per l’utilizzo di «minerali provenienti da zone di conflitto» nei propri prodotti. Il governo congolese ha accusato l’azienda di trarre profitto economico dall’instabilità dei territori di estrazione, partecipando così a pratiche di riciclaggio di denaro, frode e finanziamento di gruppi armati. È una filiera, denuncia il governo, che contribuisce a gravi e ripetute violazioni di diritti umani. Un urlo, più forte di tutti, si alza dalle proteste di questi giorni: «Free Congo». Ricordando così che la battaglia contro Apple è la lotta contro un colonialismo che non è ancora tramontato, ma ha trovato molti modi per trasformarsi e mettere radici. Il processo di liberazione dall’Occidente è ancora in corso, ma “il black mirror” inizia a creparsi.
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