Gli oligarchi amici di Vladimir Putin che fanno affari in Italia protetti dalle offshore

Dovrebbero essere nelle black list della Ue, ma i potenti russi riescono ad aggirarle grazie a società nei paradisi fiscali. Vi raccontiamo chi sono

Vladimir Putin
Prima gli italiani? No, prima i russi. Anzi, prima le offshore. Società anonime con sede nei paradisi fiscali, che possono mandare in rovina anche aziende italiane. Mentre consentono ai miliardari più vicini a Putin di sfuggire alle sanzioni internazionali. E di controllare proprietà per decine di milioni anche nel nostro paese, senza mai comparire ufficialmente.

A raccontare questa storia di infiltrazioni segrete degli oligarchi russi in Italia sono molti documenti di origine diversa. Ci sono carte giudiziarie, depositate in varie procure e tribunali tra Milano e la Toscana. E poi ci sono i Panama papers, gli atti riservati delle società offshore dei potenti del mondo, che comprovano e allargano lo scandalo. Una storia che parte da una piccola vicenda italiana di fatture non pagate e arriva molto in alto, fino alla cerchia dorata degli amici più fidati, diventati miliardari, del presidente russo Vladimir Putin.

Al centro del caso c’è un’impresa toscana che «fino al 2017 era un’azienda gioiello, mentre oggi siamo rovinati», denunciano i titolari, Alessandra De Siati e il marito Nicola Tinucci. La loro ditta si chiama Eggzero, fornisce tecnologie per yacht e abitazioni di lusso, ha avuto clienti come il sultano di Abu Dhabi e la famiglia reale del Kuwait. Per anni l’impresa continua a crescere, incassa circa due milioni all’anno e dà lavoro a dodici dipendenti, quando viene contattata da una società di Mosca per ristrutturare una vasta proprietà in Toscana, affacciata sul mare dell’Argentario, vicino a Porto Santo Stefano. Una villa padronale, altre due case per gli ospiti, una residenza per i domestici, eliporto privato, piscine, saune, campi da tennis e giardino enorme, circondati da ben 220 ettari di uliveto. I fabbricati sono intestati a un’immobiliare italiana, Case Dell’Olmo srl; i terreni a una società agricola con lo stesso nome. A gestire la tenuta è un’amministratrice russa che vive nel Grossetano. Gli ordini però arrivano dalla società di Mosca: Npv Engineering. E l’ultima parola spetta a un miliardario russo, Igor Rotenberg, figlio di un grande amico di Putin: una famiglia diventata miliardaria grazie a favolosi contratti pubblici. In Toscana i lussi si sprecano, con richieste come un maxi-schermo da cinema all’aperto da inserire dentro il prato, a scomparsa, con apposito telecomando.
Igor Rotenberg

Il lavoro all’Argentario va bene, l’oligarca si dichiara molto soddisfatto, non gli sembra vero di poter gestire tutta la proprietà italiana dalla Russia, con un programma di Eggzero installato sul telefonino. Il miliardario invita Tinucci anche a Mosca, per affidargli la cosiddetta “domotica” della sua residenza principale. L’imprenditore italiano testimonia (e le carte confermano) che ha «incontrato più volte Rotenberg in persona, che si è sempre comportato da padrone». Nei messaggi scritti, l’oligarca è citato come dominus della tenuta italiana anche dalle sue segretarie. I soldi però arrivano da banche estere, mai dalla Russia. E alcuni bonifici provengono da un conto, alla filiale lussemburghese della Gazprom-bank, intestato a una misteriosa società offshore delle Isole Vergini Britanniche: Highland Ventures Group Limited. Una tesoreria anonima, gestita da una fiduciaria di Cipro. Ai tempi d’oro, alla Eggzero nessuno si preoccupa di quelle architetture societarie, visto che le fatture dell’Argentario vengono pagate regolarmente.

Sei anni dopo il primo contratto, l’affare raddoppia. Il miliardario russo affida alla ditta italiana una seconda proprietà, acquistata nel 2014: una villa a Castiglione della Pescaia, nella pineta di Roccamare, accanto alla spiaggia. Questo immobile è intestato a una società di Vaduz, Norba Ag. Ma a gestirlo sono sempre la Npv di Mosca e la rappresentante russa a Grosseto, mentre i soldi arrivano dalla solita Highland. Che secondo le carte legali è la capogruppo: possiede anche la tenuta dell’Argentario attraverso un’altra società del Liechtenstein, Costa Ligure Anstalt, che controlla l’immobiliare italiana. Anche a Castiglione non si bada a spese: il preventivo della sola ristrutturazione è di oltre dieci milioni.

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All’improvviso, alla fine del 2017, i pagamenti si fermano. La ditta italiana ha cinque contratti in esecuzione, con scadenze ravvicinate, quindi ha rinunciato ad altri lavori per finire in tempo la seconda mega-villa dell’oligarca. Ma la proprietà chiude il cantiere. Negli stessi mesi l’avvocato della Eggzero, David Billetta, denuncia in un esposto la presunta clonazione del programma informatico: è il vanto dell’azienda ed è protetto da brevetto, ma risulta utilizzato da altri, proprio in quella zona. Le indagini sono in corso. Nell’attesa, l’azienda italiana non riesce a farsi saldare neppure le fatture arretrate, per i costosi lavori già ultimati. Ed entra in crisi. «Siamo sull’orlo del baratro», denuncia la signora De Siati. «Il tribunale di Grosseto ci ha già liquidato una prima fattura di 53 mila euro, a Milano aspettiamo un decreto ingiuntivo per altri 227 mila: a noi basterebbe incassare questi crediti per chiedere il concordato e superare la crisi. Ma come facciamo a pignorare una società di Vaduz controllata da una offshore delle Isole Vergini? Il tribunale fallimentare non sembra interessato a capire le cause della nostra situazione. Abbiamo tutti i contratti, abbiamo già avviato cause per farci risarcire oltre un milione e mezzo, ma se non ci arrivano i soldi entro marzo, rischiamo il fallimento. I russi ci hanno rovinato».

Le offshore accusate di aver fregato l’azienda italiana fanno parte di un sistema occulto di tesorerie anonime che porta fino a Putin. Arkady Rotenberg, il padre di Igor, è amico del presidente russo da quando erano ragazzi. Fa parte della cerchia degli uomini più fidati, tutti di San Pietroburgo. Arkady era il maestro di judo di Putin, che iniziò la sua carriera politica, dopo gli anni nei servizi segreti, come vicesindaco della città. Quando Putin conquista il potere a Mosca, l’amico Arkady e suo fratello Boris diventano miliardari. Acquistano società privatizzate dal governo russo, come le più ricche imprese appaltatrici della Gazprom, ora riunite nel gruppo Sgm. Controllano un colosso delle autostrade, Mostotrest, che gestisce anche la Mosca-San Pietroburgo. Comprano la banca Smp di Mosca. E continuano ad accumulare soldi all’estero, con diverse reti segrete di società offshore.

Esplosa la guerra civile in Ucraina, nel marzo 2014 i due fratelli Rotenberg vengono colpiti dalle sanzioni americane per i loro strettissimi legami con Putin: l’amministrazione Obama li accusa di aver «ammassato enormi fortune» grazie al regime di Mosca, che ha affidato alle loro società, in particolare, «appalti senza gara per quasi sette miliardi di dollari per le Olimpiadi di Sochi». Nel luglio 2014 Arkady finisce anche nella lista nera dell’Unione europea, per il suo sostegno alle milizie filo-russe in Ucraina e per aver beneficiato dei maxi-appalti collegati all’annessione della Crimea: la costruzione e gestione dello strategico ponte stradale e ferroviario di Kerch.
Arkady Rotenberg con Vladimir Putin

In Europa e Stati Uniti scatta così il congelamento di tutti i beni. In Italia Arkady Rotenberg si vede sequestrare dalla Guardia di Finanza immobili per circa 30 milioni: due ville in Sardegna, a Villasimius e Porto Cervo; altre case a Cagliari e a Tarquinia; e il 50 per cento dell’immobiliare Aurora 31, che possiede un hotel a quattro stelle in centro a Roma, ed è controllata dai Rotenberg tramite una società di Cipro.

In settembre un’inchiesta congiunta di Novaya Gazeta, il giornale di Anna Politkovskaja (la giornalista vittima di un omicidio politico) e del blogger anti-corruzione Aleksei Navalny svela che Igor Rotenberg, il figlio primogenito dell’oligarca sanzionato, controlla segretamente la tenuta italiana dell’Argentario, dietro lo schermo della società di Vaduz. Secondo la rivista Forbes, Igor ha un patrimonio personale di oltre un miliardo, mentre il padre ha almeno il triplo. Gran parte delle ricchezze del figlio arrivano proprio da papà.

Nel 2014, poco dopo le sanzioni americane, Arkady cede infatti a Igor le ricche aziende Gazprom Burenie (appalti per gas e petrolio) e Tps Estate (centri commerciali per un miliardo), che sfuggono così ai sequestri, applicabili solo al padre. Solo dal 6 aprile 2018 anche Igor, dopo la scoperta di quei sospetti passaggi di quote in famiglia, entra nell’elenco degli oligarchi sanzionati dagli Usa. Con tutte le sue società-chiave, compresa la Npv di Mosca: quella che mandava le istruzioni alla ditta italiana Eggzero. Ma in Europa, dove la lobby filorussa è molto forte, nella lista nera rimane inserito solo Arkady, non il fratello Boris né il figlio Igor.

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Nel 2016 l’inchiesta giornalistica Panama Papers, coordinata dal consorzio Icij di cui fa parte L’Espresso, smaschera una costellazione di società offshore che gestiscono somme enormi (almeno due miliardi) per una cordata di oligarchi russi e per un presunto tesoriere personale di Putin, il violoncellista Sergey Roldugin, amico di famiglia e padrino di battesimo della sua prima figlia Maria. I fratelli Rotenberg hanno un ruolo centrale in questa rete occulta. Un esempio è un prestito anomalo del 2014: tre offshore concedono un finanziamento di 231 milioni di dollari, senza scadenza (e di fatto mai restituito), a una società delle Isole Vergini, Sunbarn Limited, controllata dai fiduciari del violoncellista e collegata ad altre due tesorerie estere dell’amico di Putin. Almeno due delle tre benefattrici offshore appartengono ai Rotenberg.

Nei Panama Papers ora L’Espresso ha trovato le prove che la misteriosa Highland, la società che pagava i lavori per le due ville in Toscana, appartiene personalmente proprio a Igor Rotenberg. Che controlla, a cascata, altre tesorerie offshore, come Beechwood Associates e Causeway Consulting. A documentarlo è lo studio Mossack Fonseca di Panama, che il 31 marzo 2016, alla vigilia dei primi articoli del consorzio, trasmette alle autorità delle Isole Vergini una segnalazione di operazioni sospette, dove indica Igor come «beneficiario finale» di quelle tre società anonime. La denuncia cita le sanzioni contro il padre Arkady e lo zio Boris. E collega le offshore di Igor ad «attività sospette: riciclaggio di denaro sporco».
Porto Santo Stefano

Gli atti mostrano che Rotenberg junior ha acquistato quelle società offshore, capitanate dalla Highland, nel luglio 2014, poco dopo le sanzioni contro il padre. A venderle è un unico proprietario e primo finanziatore, che resta anonimo: si nasconde dietro un trust delle isole Marshall, gestito da un fiduciario russo e da una cipriota. L’affare ha un tempismo sospetto: la cessione delle offshore avviene nello stesso periodo del passaggio della Gazprom Burenie dal padre al figlio, non ancora sanzionato.

Il 29 marzo 2018, una settimana prima di essere colpito a sua volta dalle autorità americane, è Igor Rotenberg a mettere al sicuro il suo impero di centri commerciali con un altro affare di famiglia: vende il 30 per cento della Tps Estate alla sorella Liliya, che non è sanzionata. Al centro dell’operazione c’è un’immancabile offshore: Roseport Overseas Ltd. Contattati dal giornale russo Vedomosti, i Rotenberg hanno replicato che tutti i loro affari di famiglia sono «normali operazioni di mercato», decise «molto prima delle sanzioni».

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Morale della storia: le offshore servono ai ricchi del mondo per non pagare le tasse, ma permettono ai miliardari russi anche di restare anonimi e aggirare perfino le sanzioni di guerra. Garantendo pure uno scudo contro i debiti, in grado di rovinare anche aziende di casa nostra. Il governo degli italiani però non sta facendo nulla contro le offshore. Anzi, la Lega si batte per abolire le sanzioni contro i russi. E restituire così i tesori sequestrati agli amici di Putin.

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