Da Garlasco a Perugia la cronaca propone indagini confuse. Sotto accusa i detective scientifici. Ma il problema è la regia investigativa. Che spetta ai pm

Il delitto è perfetto

E se le tute bianche fossero innocenti? Se la colpa dei delitti rimasti irrisolti non ricadesse solo sugli investigatori del Ris e sui loro colleghi della polizia scientifica? Oltre la morbosità dell'omicidio di Perugia e i dibattiti sulla bicicletta di Garlasco, oltre il plastico della casetta di Cogne e lo showbusiness macabro di Erba, insomma dietro i casi più discussi della cronaca nera c'è un problema di sistema. Una Babilonia di competenze e ruoli che non riescono a garantire giustizia. E diffondono sfiducia nell'opinione pubblica: perché c'è voluto un anno di sospetti altalenanti per formalizzare le accuse contro il padre dei bambini scomparsi a Gravina? I protagonisti dell'istruttoria - pm, investigatori tradizionali, specialisti della scientifica, consulenti tecnici - spesso sembrano muoversi a caso, senza strategia. E quando si va a cercare un responsabile per le indagini inconcludenti, la prima questione che tutti sottoscrivono è proprio la difficoltà nel gioco di squadra. A vantaggio dell'assassino.

La prova scientifica Da dieci anni si crede che la polizia scientifica sia una panacea. Da quando il Dna permise di incastrare Donato Bilancia, diventando la prova regina, si è diffusa la convinzione che basti chiamare i Ris per risolvere tutto. Non è così. I tempi di molte analisi sono lunghi, i laboratori sommersi di campioni da esaminare e le risorse delle forze dell'ordine limitate. Nel comando di Parma non c'è solo da sbrogliare il giallo di Garlasco. Lì finiscono i reperti dell'intero Nord: oltre 5 mila casi, tra cui molti reati minori. "La polizia scientifica funziona soltanto da supporto, non può condurre da sola le inchieste. E non possiamo intervenire ovunque", ripete sempre il colonnello Luciano Garofano. L'ufficiale del Ris è l'unica figura dello Stato che si è imposta mediaticamente in questo settore: non ci sono magistrati, questori o capitani famosi per la capacità di arrivare al colpevole. Alcuni di quelli più noti, come l'ufficiale dell'Arma che smascherò Bilancia, hanno abbandonato la divisa. Altri, come l'alter ego di Garofano nella polizia, quel Carlo Bui a cui fu addirittura dedicato un reality ad personam, sono stati promossi e trasferiti, vanificando esperienze uniche. E in tutti i delitti da prima pagina dell'ultimo anno la scientifica si muove in un contesto insidioso, dove l'esperienza fa la differenza: nel mirino non ci sono estranei, ma persone 'di casa' come fidanzati, amici, vicini. Non bisogna solo scoprire le tracce, ma anche legarle all'omicidio intrecciando competenze diverse. E qui nasce il guaio. "C'è un problema di interfaccia: pm, polizia, esperti. Spesso non riusciamo nemmeno a colloquiare", ha detto Garofano durante un convegno dedicato proprio alla 'professionalità nelle strategie investigative'. Un esempio di confusione? A Erba la perizia del Ris è arrivata alla vigilia del processo, quasi dimenticata dalla procura che l'aveva disposta. E gli esiti paiono molto più utili alla difesa dei coniugi Romano che non all'accusa.

Pubblici ministeri A coordinare le inchieste dovrebbero pensare i pm: il nuovo codice da 17 anni gli ha affidato la responsabilità di tutta l'indagine. Ne sono all'altezza? Sono molti a sottolineare come la geografia dei delitti irrisolti coincida spesso con procure di provincia, dove è più rara l'esperienza di grandi casi. Reggere alla pressione mediatica, commissionare analisi complesse, gestire interrogatori, intercettazioni e pedinamenti non è facile. Ci sono poi altre mosse discutibili, se non veri e propri passi falsi. A Perugia citano la frettolosa richiesta di estradizione per Rudy Guede, inaccettabile per i tedeschi. O la verbalizzazione senza difensore di parte delle dichiarazioni di Amanda. Per non parlare delle accuse svanite contro Patrick Lumumba. Ricorda un vecchio maresciallo: "Prima di arrestare le persone bisogna arrestare le prove". Mentre a Garlasco molti investigatori non sono stati d'accordo nella scelta dei tempi dell'arresto e delle perquisizioni. Ma i pubblici ministeri italiani sono educati a essere giudici: a valutare gli indizi più che a raccoglierli. E anche avversari della separazione delle carriere come Antonio Patrono riconoscono questo limite, insito nel nostro sistema giudiziario: "Il pm non è attrezzato al meglio nel fare questo lavoro. Altri paesi hanno figure di inquirenti diversi, invece in Italia noi pm siamo giudici: siamo formati come giudici, ragioniamo come giudici". Patrono, già magistrato della Superprocura antimafia e membro di spicco del Csm, non nasconde il problema di fondo. Nel convegno delle Camere penali sulle strategie investigative ha presentato il problema in maniera diretta: "L'attuale pm fa le indagini così così ma offre molte più garanzie al cittadino. Potrà esserci qualche colpevole in più rimasto in libertà ma di sicuro ci sono meno innocenti all'ergastolo". "Il problema dei pm è sapere cosa un test ti può dire e cosa non scoprirai. Una singola traccia non può diventare prova", sintetizza Gerardo D'Ambrosio, oggi senatore dopo 45 anni vissuti da inquirente: "Per questo io penso che sia necessario privilegiare le indagini tradizionali. Oggi invece vediamo spesso in tv scene del crimine affollate di persone. A quel punto quando arriva la scientifica e si mette le sovrascarpe, il quadro è già contaminato". Un copione che si è ripetuto a Garlasco e a Perugia, nonostante il decesso fosse evidente."È inevitabile che la scena del crimine sia in qualche modo compromessa", riconosce Maurizio Capra, genetista dell'Istituto di Medicina legale di Milano ed ex ufficiale del Ris, che assiste la famiglia di Chiara Poggi: "C'è poi il problema di come vengono prelevati i reperti. Impossibile pensare che tutti i medici legali agiscano allo stesso modo. In vicende come il caso Jucker o le bestie di Satana ci siamo ritrovati a essere un gruppo affiatato e abbiamo fornito risultati ottimi. In tante altre situazioni manca chi gestisca lo scambio di informazioni tra medici, consulenti, detective".

Indagini tradizionali Difendere la scena del crimine è compito della polizia 'tradizionale' a cui spetta anche il peso maggiore dell'inchiesta. C'è chi sostiene però che gli 'sbirri' di una volta non esistano più. Il nuovo codice ha tolto ogni autonomia agli investigatori, demotivandoli: è il pm a decidere tutto. C'è poi l'illusione della panacea scientifica che ha impigrito i segugi. A partire dalla raccolta delle informazioni. Anche qui la tecnologia è diventata dominante: i pilastri sono le intercettazioni e i tabulati telefonici, che hanno sostituito la sapienza dei vecchi marescialli. Orientarsi però nella ragnatela di chiamate e sms di un solo cellulare può richiedere settimane. Ci sarebbe anche un altro strumento: l'interrogatorio. Ma richiede una professionalità che non si improvvisa. "È un'arte", spiega D'Ambrosio: "Ricordo quanto mi preparai per le domande a Franco Freda, contava ogni sfumatura della voce. Ma adesso gli indagati hanno la facoltà di tacere...". Per questo molti ritengono che i tempi dell'inchiesta siano scanditi non dall'arresto, ma dall'iscrizione sul registro: indispensabile per alcuni esami scientifici, deleteria per le inchieste vecchio stile. Polizia e magistrato possono fare breccia sulla resistenza psicologica del sospetto solo prima che diventi indagato, scoprendo le carte all'ultimo. Perché la scelta del silenzio, che negli Usa influisce sulla corte, in Italia è diventata il viatico verso l'assoluzione.

Gli indagati Gli indagati sembrano diventati più bravi dei loro difensori. Almeno nella conoscenza delle prove scientifiche. Pensate alla meticolosità con cui i Romano a Erba avrebbero organizzato il delitto. Doppi guanti di gomma, teloni per isolare gli ambienti in cui cambiarsi dagli abiti sporchi, l'incendio per spazzare via altre tracce. O alla sistematica pulizia di Garlasco, al punto da far diventare indizio le scarpe immacolate dopo la camminata tra il sangue. Gli avvocati invece non hanno fatto granché per sfruttare le indagini difensive. "Perry Mason non si è visto", riconosce Ettore Randazzo, ex presidente delle Camere penali che oggi si occupa della formazione dei legali: "Se non ci sarà più selezione, continueremo a trovare avvocati che si lasceranno travolgere dalla bufera mediatica, straparlando. Come spesso fanno molti magistrati". Per Randazzo i cittadini sono ancora nelle mani della dea bendata: che chiude gli occhi non per senso di equità, ma perché non guarda quello che fa. E alla fine si dà ragione alla disperazione del padre di Chiara Poggi: "Finché non c'è un colpevole, per me sono tutti colpevoli".

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