Il segretario dei Ds a tutto campo: "Sono convinto e determinato. Il Partito Democratico è necessario all'Italia. Voglio portarci tutti i diesse, Mussi compreso, altrimenti dove andrà mai a finire?"

Conosco Piero Fassino da più di trent'anni. E lo scopro sempre uguale. Lungo lungo. Magro magro. La solita faccia da studente secchione. Un 'faragginato', diremmo nel nostro Piemonte. Ovvero uno che si dà di continuo da fare. Un lavoro dopo l'altro, senza pause. Adesso è la volta del Partito Democratico. La scommessa della sua vita di politico. Un traguardo da raggiungere a testa bassa. Quasi un chiodo fisso. Mi sembra di capire che sarà una faccenda lunga. E che ne vedremo delle belle.

Come si sente: stanco, depresso, euforico?
"Mi sento convinto e determinato. Convinto che il Partito Democratico sia necessario all'Italia e che sarebbe drammatico non farlo. Ma anche determinato a costruirlo a tutti i costi. D'accordo, un po' di stanchezza c'è. Sono segretario dei Ds da quasi sei anni. E ho dovuto ricostruire tutto: i Ds, l'Ulivo, l'unità del centrosinistra. Mi sono misurato con una elezione all'anno. Ma gli obiettivi importanti ti danno l'adrenalina. E poi sono un vecchio sabaudo che non lascia i lavori a metà".

Parleremo poi dei lavori per il Partito Democratico o Pidì. Le chiedevo di se stesso. Non si sbatte troppo? Non va troppo in giro? Quando legge, quando riflette?
"Ci sono politici che non si muovono dalla scrivania. Io ho bisogno di un rapporto quasi fisico con la gente, con i cittadini e con i nostri militanti. Ma anche loro hanno bisogno di vedere e sentire chi guida il partito. Non posso deluderli, c'è anche tanta gente che si fida di me. Per il resto, dormo poco, leggo nei viaggi, rifletto sempre, anche quando sto in una sala affollata, imparo dal clima che colgo, dagli umori, pure dalle cose non dette".

Ma che uomo è Fassino, oggi?
"Vado per i 58 anni e sono più pacato di un tempo. Cinico no, non lo sono divenuto. Forse più disincantato sì, perché vedo troppi che fanno prevalere l'io sul noi. Però continuo ad appassionarmi. E mi sento appagato di quel che faccio. Non sono frustrato. Ho fatto tante cose e voglio farne tante altre".

A me Fassino sembra un Cristo inchiodato a due croci: la morte dei Ds e la nascita del Pidì. Sbaglio o no?
"Sbaglia. Non mi sento in croce. E neppure uno che porti la croce. Ho dei traguardi da conquistare. Obiettivi giusti. Anche per questo metto sempre la pelle sul bastone, spendo tutte le energie. E trovo un po' ingeneroso che, tutti i giorni, qualcuno mi spieghi che cosa devo fare, mentre lui fa poco o nulla. Ma così va il mondo e non mi spaventa".

Parliamo dei Ds. Che partito è la Quercia? È una domanda che riguarda anche il futuro, dal momento che i Ds di oggi saranno la metà del Partito Democratico di domani.
"Siamo un partito vero, con 600 mila iscritti e settemila sezioni nei comuni italiani, che sono ottomila. Siamo uno dei due partiti più grandi in Europa, l'altro è la Spd tedesca. Ai congressi di base, in vista del congresso nazionale di Firenze, hanno partecipato 250 mila iscritti, 50 mila in più rispetto al 2004. E 70 mila in più rispetto al 2001. Siamo tutta gente per bene, che fa politica per passione ogni giorno. Con una cultura di governo radicata e diffusa. E siamo utili alla democrazia italiana".

La mozione Mussi ha dato dei Ds un ritratto molto diverso. Sta sull' 'Unità' del 3 marzo. La Quercia, dicono, ha una leadership febbrile e dagli umori imprevedibili. Qui si parla di lei.
"È un ritratto fasullo. Febbrile io? Una decisione la soppeso mille volte, vagliando tutti i pro e contro. Imprevedibile? Al contrario, sulle politiche da fare sono sempre stato lineare. Certo, mi arrabbio, ma senza avere la febbre!, quando vedo qualcuno sostenere una tesi soltanto per sfiancare l'interlocutore. La politica è piena di gente così. È il secondo fine nascosto che mi fa incavolare. Io quando dico una cosa è quella. E non mi piace chi dice una cosa e ne pensa un'altra".

Sempre i mussisti dicono che lei è zavorrato da un ceto politico elefantiaco, che ha con la base legami soltanto mediatici o da notabili.
"Già, il notabilato della nomenklatura. Può succedere. E succede, non da oggi, in tutti i partiti. Ma c'è un antidoto ai notabili: rinnovare le classi dirigenti. È quel che abbiamo fatto in vista del congresso. Su 124 segretari provinciali, 80 hanno meno di quarant'anni. Lo stesso per 17 segretari regionali su 20. In Lombardia avremo un segretario regionale di 28 anni, e cito un caso solo. Che cavolo fanno gli altri partiti? Mi piacerebbe saperlo".

 
Senta quest'altra, sempre by Mussi. I Ds sono un partito di cariche  elettive dove contano soltanto le prospettive di carriera e la fedeltà verso chi le garantisce. E dove ogni eletto allestisce in proprio delle grandi macchine acchiappasoldi.
"Questa è una caricatura, sia dei Ds che della politica. Tuttavia, un problema c'è. E riguarda il rapporto tra partiti e società. Cresce sempre di più il potere di chi ha un incarico istituzionale: il sindaco, l'assessore, il consigliere regionale. È quasi fatale. Ma non è sempre una cosa buona, soprattutto quando sostituisce la politica. Bisogna trovare il modo di cambiare".

Lei dice una caricatura. Ma saprà che cosa ha detto il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, fassiniano e non mussista, al congresso dei Ds torinesi: "Se si esclude la Dc degli anni Cinquanta, in questa fase i Ds hanno raggiunto il livello di potere più alto del dopoguerra. Ma rischiamo di diventare un partito di cariche che si ridistribuiscono il potere fra loro".
"Sergio ha ragione. È quel che le ho appena detto. Ed è tutto vero. Non riguarda solo i Ds, ma ogni partito. E dipende dalle tre Italie nelle quali viviamo. Al nord, c'è una politica fragile e una società forte. Al centro, politica e società sono entrambi forti. Al sud, sono deboli sia la politica che la società. Qui si sommano due fragilità. Ed è qui, soprattutto, che nascono le distorsioni in cui maturano nomenklature spesso autoreferenziali".

Sta dicendo che l'Italia è più disgregata di anni fa?
"Sì, e rischia molto. Questa è la ragione principale per cui bisogna fare il Partito Democratico. Per rispondere almeno a tre domande: che paese è l'Italia oggi, in che direzione deve andare, come dovrà essere l'Italia di domani. È la ragione per cui lo faccio nascere, questo Pidì, come lo chiama lei".

Ha detto 'lo faccio': è un lapsus, dettato da un po' di narcisismo?
"Non è per niente un lapsus! Io sono quello che ci lavora di più al Partito Democratico, e con più determinazione. Lo dico a dispetto di chi, ogni giorno, ne parla e ne scrive, ma senza muovere un dito. Io ci credo nel Pidì. Le ripeto: come sarà l'Italia fra dieci, quindici anni? Chi governerà il cambiamento? Guai se mancherà un partito capace di guidare il paese in una fase di enormi mutamenti globali. Oggi questo partito non c'è. Non lo siamo noi Ds, non lo è nessun altro".

Torniamo a come siete voi oggi. Da giovane cronista raccontavo che la Dc tesserava anche i defunti. Oggi emergono iscrizioni false anche nella Quercia.
"Un momento, non raccontiamoci balle. Prima di tutto, alla vigilia di ogni congresso gli iscritti aumentano in modo fisiologico: è gente che prende la tessera perché vuole partecipare e votare. È accaduto in Francia alla vigilia delle primarie per le presidenziali: il Partito socialista ha visto crescere gli iscritti da 170 mila a 250 mila. In casa nostra abbiamo constatato un aumento troppo consistente delle tessere soltanto in alcuni isolatissimi casi, soprattutto nel Mezzogiorno. E siamo subito intervenuti da Roma".

Casi isolatissimi? Sembra che siano sotto esame ben 21 federazioni provinciali.
"Non è vero. Su 124 federazioni, abbiamo qui, al Botteghino, l'intera anagrafe degli iscritti di 121. Mancano all'appello tre federazioni, che ci hanno inviato dei dati parziali. È offensivo che si faccia credere che il tesseramento sia falso. È un offesa soprattutto per i nostri militanti".

Quanti iscritti vi porterà via la scissione di Mussi? Avete già fatto una stima?
"La mia risposta è divisa in due parti. Prima di tutto, al congresso di Firenze verrò eletto con una maggioranza larga: il 75 per cento. A Pesaro, quando diventai segretario dei Ds, con me c'era soltanto il 62 per cento. Per di più avevo contro Cofferati, Bassolino, Veltroni, la Melandri, Mussi, Salvi. Oggi i primi quattro stanno con me. Insomma c'è una coesione assai più forte e più larga".

E la seconda parte della risposta?
"È ancora più chiara: mi auguro che nessuno se ne vada e lavorerò sino all'ultimo per questo. E non penso affatto che tutti i compagni che hanno votato la mozione di Mussi vogliano uscire dal partito. Scissione è una parola molto impopolare da noi. Una parola che fa paura. Prima di tutto, perché la gente non ne può più di frammentazioni, di partiti che si dividono, di partitini che spuntano come funghi. E poi perché la scissione evoca una maledizione che la sinistra italiana si porta dietro da sempre, dal 1921, dal congresso di Livorno".

Di quale maledizione parla?
"E me lo domanda? La conosce anche lei. Ogni volta che c'è un problema, la sinistra si divide. Pensando che dividersi risolva il problema. Ma non è così, perché il problema rimane e si aggrava. Lo dimostra la nostra storia. Mussi, dirigente di lungo corso e uomo colto, lo sa bene".

Mussi andrà via davvero?
"Io spero ancora di no. Del resto, va via per andare dove? Con Bertinotti? Se è così, rifà al contrario il percorso che ha fatto dal 1989 a oggi. Tanta fatica per tornare indietro, a prima della caduta del muro di Berlino e dell'Urss? Andrà con i socialisti di Boselli? Non mi pare. Farà l'ennesimo partitino di sinistra? Sarebbe una scelta che non giova a nessuno".

Ma che tipo è Mussi?
"Con Fabio ci conosciamo da 35 anni: lui è del 1948, io del 1949. E abbiamo un rapporto d'amicizia profondo. Quanti Natali, Capodanni e vacanze abbiamo passato insieme! È un uomo di valore. Mi sono battuto perché facesse il ministro dell'Università. Lui era incerto. Ho dovuto insistere. Onestamente, non comprendo perché abbia preso una strada tanto radicale. Non lo trovo coerente con il suo percorso politico e umano".

Se nascerà un altro partitino rosso, in quante parrocchie risulterà divisa la sinistra? "Vedo che lei dice sempre sette. Ma sono di più. Contiamole: Ds, Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi, Socialisti di Boselli, Socialisti italiani di Bobo Craxi, Radicali, i Repubblicani europei, il Psdi ossia i socialdemocratici. Totale: nove. Dieci se ci sarà anche il partito di Mussi. Non può reggere una baracca tanto segmentata. Le culture della sinistra sono soltanto due: riformista e radicale. Stop, fine della questione".

Beh, fine mica tanto. Che cosa direbbe a un elettore di sinistra che è stufo di questa arlecchinata e non vuole più votarla? O magari è tentato di buttarsi sul centrodestra?
"Gli direi: amico, guarda che sbagli! Se voti per il centrodestra, ti metti al livello di Tafazzi, quello che si dà le bottigliate sui santissimi. Oppure fai come quel marito che se li tagliava per far dispetto alla moglie. E aggiungerei: amico, scegli chi si batte per riunire e non per dividere".

È possibile che nasca un'Alleanza rossa fra qualcuno di questi partiti, guidata da Rifondazione comunista?
"Prima di tutto voglio ricordarle che dire riformista non significa dire moderato. Pure chi esprime una radicalità maggiore può stare in un partito riformista. Quanto all'Alleanza rossa, come la chiama lei, non mi stupirei se nascesse. È già accaduto in Germania, in Spagna, in Svezia. Qui, accanto ai partiti socialdemocratici, ci sono formazioni minori, neo-comuniste. Però non credo che Bertinotti e Giordano si facciano dirigere da Mussi".

Se si metteranno insieme, nascerà un concorrente pericoloso per il Partito Democratico?
"Dipende da come sarà il partito che vogliamo costruire. La mia linea è di portarci tutti i Ds. E chiedo di esserci anche a chi ha votato per Mussi e per Angius. È la cosa più utile al Pd e alla sinistra. E mi auguro che la Margherita faccia la stessa cosa".

I margheriti stanno meglio o peggio di voi, per quel che riguarda il Pd?
"Non cerchi di farmi dire cose inopportune. Sei mesi fa, si pensava che i maggiori problemi a fare il Partito Democratico fossero dentro i Ds. Oggi non è così. Ma la Margherita è più brava di noi nel non rendere pubbliche le divisioni interne. Noi di sinistra amiamo mostrarci più divisi di quel che siamo, perché così facciamo vedere quanto siamo democratici. Del resto, veniamo da una storia in cui il rapporto tra unità e pluralismo non è mai stato facile. È una storia che anche lei conosce bene per averne scritto tante volte".

Ho sempre pensato che lei, Fassino, voglia arrivare al Partito Democratico perché si è reso conto che la sinistra classica non ha più futuro in Italia, tranne che in aree marginali. È così?
"No, io penso che della sinistra e delle sue idee ci sia bisogno. Oggi la sinistra moderna deve organizzarsi in un partito come quello che voglio costruire. Ma il Pd sarà una realtà assai più larga e non soltanto perché ci sarà la Margherita, ossia una presenza cattolica democratica che in altri paesi non c'è e che da noi è molto forte. Il Pd ha bisogno dei socialisti, dei liberaldemocratici, degli ambientalisti. Del resto, oggi ci assomigliamo in molte cose. Provi a fare un'intervista simultanea a me, a Enrico Letta, a Francesco Rutelli ed Enrico Boselli. Scoprirà che a dividerci è solo la storia da cui veniamo, ma non le nostre idee sul futuro dell'Italia. E questo perché da dodici anni stiamo insieme nell'Ulivo".

Non c'è il rischio di una 'fusione fredda', come scrivono in parecchi?
"Anche qui si fa una caricatura. Ma per suscitare passione, dobbiamo fare i primi passi. Volevo costituire mesi fa il Comitato promotore del Pd, però Mussi mi ha detto che non potevo farlo prima di celebrare il congresso. Adesso noi e la Margherita i congressi stiamo per tenerli. Subito dopo ci sarà finalmente quel comitato. E ci saranno comitati in tutte le città. Fatti non solo dai partiti, ma da tutti quelli che vogliono il Pd. Si aprirà una grande discussione sul nuovo partito, accompagnandola con una campagna di pre-adesioni. Allora vedrete che farà caldo e non freddo".

È vero che lei pensa di essere il segretario del Pd?
"Io propongo che il leader del Pd venga scelto, con il voto segreto e individuale, da tutti gli iscritti. Vedremo chi si candiderà".

Si candiderà anche lei?
"Quando verrà il momento, valuterò se farlo o no. Certo, non penso di avere meno titoli di altri. E forse ne ho qualcuno in più".

Quale sarà il calendario dell'operazione Pd?
"I tempi non possono essere biblici. Chi pensa di arrivare sino al 2009 sbaglia, andremmo troppo in là. Io penso che sia necessario convocare nell'autunno di quest'anno l'assemblea costituente del nuovo partito. Con una platea eletta e rappresentativa di tutta la società italiana. Nella primavera del 2008, ci sarà la nascita del Partito Democratico e, insieme, la scelta del leader. Che sarà uno e dovrà durare quanto prevederà lo statuto del partito. Non conosco partiti al mondo che abbiano leadership a rotazione. Accadeva in Jugoslavia e si vede com'è finita.".

Ma non ha mai dubbi che l'Italia sia un paese moderato, incline al centrodestra, e che dunque ci sia poca ciccia per un Partito Democratico?
"Certo, siamo un paese spaccato in due scelte politiche opposte. Ma non è un problema soltanto italiano. Accade lo stesso in Austria, in Germania, in Svezia, in Olanda, in Finlandia. Un distacco minimo fra i due blocchi è praticamente inevitabile. Dobbiamo imparare a governare questa condizione di quasi parità. E deve imparare a farlo chiunque vinca".

Governarlo in che modo?
"Cercando di passare dal bipolarismo crudele e feroce di oggi a un bipolarismo mite. Dove l'avversario non sia più il nemico da uccidere, il vinto, per un pelo, sul quale il vincitore, per un altro pelo, deve esercitare la sua vendetta. Del resto, il bipolarismo mite è quello in cui gli elettori si riconoscono di più. Uno che l'ha capito è stato Pier Ferdinando Casini, quando ha dato il suo voto per l'Afghanistan. Ha scelto di non lacerare, di non gettare benzina sul fuoco della contrapposizione".

Luca di Montezemolo al posto di Silvio Berlusconi: sarebbe una scelta giusta in vista del bipolarismo mite, senza il coltello tra i denti?
"So che molti lo sollecitano. E che lui è attratto. Ma perché dovrebbe candidarsi contro un centrosinistra che vuol far crescere l'Italia?".

Potrebbe invitare Montezemolo nel Partito Democratico.
"Perché no? Del resto, tra i sostenitori del Pd ci sono illustri esponenti del mondo imprenditoriale e bancario".

Il congresso dei Ds a Firenze sarà una bolgia?
"Ma no! Le ho già detto che siamo gente per bene e civile. Non immagino colpi di scena. E nemmeno trucchi maligni. Io non sono abituato a farli. E non credo che altri possano mettersi in testa di farne".

L'ho intervistata per due ore. E adesso mi domando se lei, Fassino, non sia mai tentato di mollare il mazzo e di dedicarsi a una nuova vita, diversa dalla politica.
"Perché dovrei farlo? Mi sono iscritto al Pci nel 1969, a vent'anni. E sono dirigente di partito dal 1971. Il mio non è un lavoro facile. Riesci a starci dentro se ogni giorno lo scegli, non se lo subisci. Se dovessi scoprire che lo subisco, me ne andrei subito. Non farei fatica a trovare un altro lavoro. Come dice lei, sono un faticone. Se facessi il bidello, cambierei tutti i giorni le lampadine della scuola. Lo scriva: chi mi assume, fa un affare, paga otto e prende sedici".

E se, per qualche destino cinico e baro, il Partito Democratico non si potesse fare? Che cosa succederà di Piero Fassino?
"Il Partito Democratico si farà, si farà. Può esserne sicuro. E si prepari a votarlo".