Sabato sera, il primo divieto di tornarsene a Palermo con un normale volo di linea. Domenica, la notizia che il suo appartamento romano di via del Paradiso, a un passo da Campo dei Fiori, va svuotato e abbandonato il più in fretta possibile perché totalmente indifendibile. Nel suo primo fine settimana da guardasigilli, archiviate pacche e buffetti, Angelino Alfano ha dovuto subito fare i conti con una realtà meno pacioccona: la sua dorata giovinezza di avvocato della Palermo-bene è finita. L'essere nato e cresciuto nella regione che ha regalato al mondo anche Cosa nostra lo inserisce per la prima volta nella lista dei soggetti a rischio attentato.
Il leghista Castelli, per dire, girava tranquillo sugli aerei normali e non aveva problemi di sicurezza perché era di Lecco. Clemente Mastella usava la scorta più che altro per arginare i clientes a caccia di raccomandazioni e favori vari. Invece Alfano, che le raccomandazioni dice di respingerle e in televisione affermò che "la mafia fa schifo", già vive mezzo segregato. Deve chiedere il 'permesso' alla scorta della polizia penitenziaria anche per un semplice aperitivo palermitano da Spinnato, in via Principe di Belmonte. Ed è solo l'inizio, perché i costi politici e finanziari del pacchetto sicurezza, preparato dall'avvocato personale di Berlusconi Gustavo Ghedini, ricadranno interamente sulle spalle del ministro di Giustizia.
Il quale, oltre ad averne appreso i contenuti praticamente dai giornali, dovrà far fronte a una nuova ondata di detenuti entro l'estate, con le patrie galere che sono tornate a rigurgitare di esseri umani già da qualche mese. Poi ci sarebbe da cominciare a regolare un po' di conti con i magistrati, da sempre poco amati dalle parti di Arcore, ma presenti in massa al ministero di via Arenula. Alfano sta pensando di rimandarli tutti a lavorare nei tribunali e questo scatenerà la prima guerra con la casta togata, che a quelle poltrone ministeriali tiene tanto.
Il rischio di un agosto con le carceri in rivolta è già stato prospettato ad Alfano dai vertici del Dap, l'amministrazione penitenziaria, nei primi incontri informali. "Niente spargimenti di sangue all'ora dell'aperitivo", consigliava Fabrizio De André ai ministri degli Interni democristiani. Niente rivolte in carcere a Ferragosto, si potrebbe consigliare oggi a chi deve reggere il dicastero della Giustizia. Il problema è che le cifre consegnate al giovane ministro sono terribili: 'Galera Italia' ospita 50.850 persone, contro i 43.149 posti letto ammessi dalle leggi. Insomma, il ministero è responsabile di un'illegalità che grava innanzitutto sui detenuti, e in secondo luogo sui 41.000 'secondini' (il cui tasso di suicidi sfiora ormai quello dei detenuti). Insomma, è già ampiamente sfumato l'effetto di quell'indulto voluto dal centrosinistra nella scorsa legislatura, e cattolicamente votato anche dai deputati di Forza Italia. Ghedini e Alfano compresi, naturalmente.
L'impatto carcerario dell'annunciato pacchetto-sicurezza, che nel giro di un paio di mesi potrebbe essere operativo, non è stato ancora calcolato. Ma stime che circolano nell'ambiente giudiziario parlano di 10 mila detenuti in più entro fine anno. In massima parte saranno extracomunitari clandestini, ma molte migliaia saranno italiani che perderanno i benefici della legge Gozzini e dovranno rimanere in cella, anziché scontare la pena in altri modi. Servirebbero tanti soldi e nuove carceri, ma i tentativi di costruirle in leasing ai tempi di Castelli naufragarono di fronte alle inchieste giudiziarie sui personaggi ai quali il ministro s'era affidato. Ora, con scelta di tempo perfetta, i consulenti britannici di Kpmg hanno già spedito in via Arenula un dettagliato dossier nel quale si spiega che "l'unico sistema per risolvere il drammatico problema del sovraffollamento è affidare la costruzione di nuovi penitenziarti a operatori privati e ricorrere al project financing". Loro hanno ovviamente tanto gli 'operatori' quanto i capitali privati, anche se per fare lobby si sono affidati all'ex banchiere socialista Gianfranco Imperatori. Alfano studierà e deciderà con la sua testa, certo. Forse non avrà il coraggio di passare alla storia come il primo ministro che privatizzò la pena, spaventato dal prevedibile fuoco di sbarramento della magistratura, ma intanto gli piace l'idea di vendere le vecchie galere in centro città e di costruirne di nuove e più grandi in periferia. Incubi umanitari come San Vittore e Regina Coeli si trasformeranno in complessi residenziali da sogno (e da 5 mila euro al metroquadro in su), però i furbetti del quartierino sono già avvertiti: Alfano farà gare d'appalto europee. Insomma, per fare i soldi con le sbarre bisognerà essere minimo euro-furbetti. E se per avere qualche soldo fin da subito servirà cartolarizzare gli edifici e ricoprirli di pubblicità sulle mura esterne, il ministro-ragazzino non si tirerà indietro.
Certo, i soldi sono sempre il primo problema della giustizia italiana, nota in tutto il mondo per la lentezza disumana (la prova è che circa il 70 per cento dei carcerati è ancora in attesa di giudizio). E lunedì 12 maggio, Alfano ha subito voluto affrontare il tema in un primo incontro riservato con il ministro Giulio Tremonti. Il guardasigilli è convinto che Mastella non gli abbia lasciato in cassa un euro e ha chiesto al collega nientemeno che una 'due diligence' sui conti di via Arenula. Non è che servano gli ispettori di via XX Settembre per scoprire che i processi sono infiniti perché mancano perfino i soldi per le notifiche o per gli straordinari dei cancellieri. Però l'idea della 'due diligence' dev'essergli sembrata un bel colpo d'immagine, specie alla vigilia di una stagione che si preannuncia assai calda. Certo, ci sarebbero i 60 milioni di euro della Cassa delle ammende gelosamente custoditi dal numero due del Dap, Emilio Di Somma, e in gran parte inutilizzati. Ma poi chi li sente i tanti operatori del non profit che ottengono le briciole di quel tesoretto per i loro progetti di recupero a favore dei detenuti? Insomma, Alfano si è gia messo le mani nei pochi capelli. E anche all'incontro di martedì 13 sul pacchetto sicurezza con La Russa, Frattini e Maroni, andato in scena mentre gli agenti della penitenziaria sbaraccavano casa Alfano, il ministro della Giustizia ha parlato di soldi. Soldi che non può mettere tutti lui e che comunque non ci sono proprio.
L'altra grande occasione nella quale si vedrà quanto conta davvero è la prevedibile battaglia con la magistratura. Il ministro-ombra Ghedini la scatenerebbe volentieri dal primo giorno, spingendo al massimo sulla separazione delle funzioni. Basta rendere talmente complicato e dannoso il passaggio tra pm e giudice per realizzare in modo surrettizio la famigerata separazione delle carriere. Alfano, invece, sarà assai più prudente e graduale. L'esperienza di ex segretario giovanile della Dc in Sicilia gli ha insegnato a guardarsi dalle trappole degli amici. Più recentemente, la lunga guerra di posizione per colpire e affondare la leadership isolana di Gianfranco Miccichè gli ha insegnato pazienza e lungimiranza. Se avrà davvero la possibilità di dettare l'agenda giustizia, Alfano comincerà da un piccolo gesto che sembra simbolico, ma che simbolico non è: la restituzione al Csm di quegli 80 magistrati che 'assistono' il guardasigilli in via Arenula. Con il clima da assalto alle caste che c'è in Italia, la loro difesa da parte del sinedrio di Palazzo dei Marescialli non sarà né facile né popolare. Alfano, intanto, manderà così un segnale ben preciso a tutte le toghe: al ministero comanda solo e soltanto la politica. Quanto alle carriere, il ministro ha già spiegato ai collaboratori più stretti che farà di tutto per non consentire più certe furbate che stanno accadendo in molte città. Dove i procuratori capo giunti a fine mandato si scambiano la sedia con il procuratore generale della stessa città, al solo scopo di aggirare la riforma Mastella sulla rotazione degl'incarichi.
Sul fronte mafia, Alfano sarà un sorvegliato speciale per il solo fatto di essere siciliano e il primo campo di prova sarà il regime di carcere duro noto come '41 bis'. Da uomo di legge, sa perfettamente che si tratta di un abominio giuridico. Ma da persona concreta sa anche che è un male necessario, vista l'anomalia tutta italiana delle tante e fortissime mafie. E allora, che fare?
Ironia della sorte, il suo primo atto è stato proprio la firma di alcuni provvedimenti di '41 bis' che Mastella non aveva potuto smaltire. L'ha fatto di slancio, ma si è già reso conto che il sistema fa acqua da tutte le parti. Introdotto subito dopo le stragi Falcone-Borsellino, il '41 bis' era appeso a decreti legge che scadevano continuamente. A farlo diventare legge dello Stato, sottraendo un tema così velenoso alle varie campagne elettorali, è stato il centrodestra nel suo penultimo governo. E si tratta di un grande vanto di Berlusconi in materia di lotta alla mafia. A conti fatti, però, da quando il '41 bis' è legge, il numero dei boss sottoposti al carcere duro è diminuito di molte decine perché i proveddimenti sono impugnabili più facilmente. Così, al primo deputato forzista che ebbe il coraggio di dire che la mafia fa schifo, toccherà risolvere il dilemma di una legge-feticcio che funziona all'incontrario.
Politica
15 maggio, 2008Costruire carceri per l'ondata record di detenuti. trovare soldi per i processi. mediare con le toghe. E rimandare nei tribunali tutti i magistrati in servizio al ministero. Ecco i piani di Angelino Alfano
Il giustiziere
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