Incontri. Cene. Caffè. E poi dossier. Faccia a faccia riservati. Ecco chi sono gli uomini che rappresentano e difendono il tornaconto delle aziende nei palazzi del potere

Martedì, mercoledì e giovedì c’è il pienone. Al bar Ciampini, al De Russie, alla Caffetteria o a piazza Sant’Eustachio trovare un tavolino libero è quasi impossibile. Per non parlare di Doney o dell’Excelsior a via Veneto. Occupano le sedie alla mattina presto e non le mollano fino a sera. Sono i giorni in cui a Roma l’attività delle commissioni parlamentari è frenetica, e gli appuntamenti con onorevoli, dirigenti e sottosegretari si affastellano. Quell’area calda che ha come epicentro Montecitorio, Palazzo Chigi e Palazzo Madama è il territorio di caccia dei lobbisti. Puoi incontrarne d’ogni razza: i ragazzi di Claudio Velardi e degli altri studi specializzati nelle pr istituzionali, gli emissari dell’Eni, della Pirelli e della Fiat, i mercanti d’armi di Finmeccanica, gli ambasciatori delle associazioni di categoria, i portatori d’interessi delle imprese di Milano e Torino. Pezzi grossi e pesci piccoli, tutti impegnati a tessere relazioni trasformando quel quadrante della capitale in una gigantesca ragnatela di contatti. All’insegna della riservatezza. «Ormai noi e i parlamentari abbiamo la fobia delle microspie e delle intercettazioni, bisbigliamo a bassa voce anche se quello che ci diciamo è perfettamente lecito», racconta Fabrizio Centofanti, braccio destro di Francesco Bellavista Caltagirone, uno degli astri nascenti della nuova generazione. Il lobbista, per il vulgo, resta poco più di un maneggione che chiede favori in cambio di piaceri. Tangentopoli ha dato il colpo di grazia all’immagine della categoria, bollandola nell’immaginario collettivo come una schiatta di postini di bustarelle: «Prima si mangia, poi si intrallazza», ripeteva al telefono uno dei grandi brasseur d’affari. Poi la lenta risalita, fino agli ultimi anni che hanno visto cambiare il rapporto tra potere e rappresentanti di interessi privati. Non esiste ancora la trasparenza stile Usa (gran parte delle fonti consultate da “L’espresso” ha chiesto il totale anonimato) e la legge per regolamentare la professione galleggia in Parlamento da trent’anni, ma oggi il lobbista chiede visibilità e sbandiera il suo orgoglio.

Strategie d’assalto
In Italia la categoria si divide in tre figure chiave: i dipendenti che lavorano in esclusiva per una grande azienda (col ruolo di direttore dei rapporti istituzionali e stipendio da centinaia di migliaia di euro), i consulenti che mettono in piedi una società specializzata e i battitori liberi, dove si annidano personaggi d’ogni genere. Negli ultimi giorni lo tsunami elettorale ha aumentato per tutti il carico di impegni. La schiacciante vittoria di Berlusconi e Bossi, la fine del potere veltroniano nella capitale, l’arrivo di parlamentari sconosciuti: i maestri della persuasione si giocano nelle prossime settimane rapporti personali e istituzionali che segneranno, nei prossimi cinque anni, il loro destino e quello degli studi in cui lavorano. I potenti del breve regno di Prodi contano ormai come il due di picche, gli interfaccia della sinistra radicale sono stati cancellati (con gran sollievo delle lobby di costruttori e imprese energetiche), e lo spoil system manderà in soffitta anche seconde e terze file, con direttori e manager nuovi di zecca che occuperanno poltrone-chiave di ministeri, commissioni e aziende pubbliche.

Il lobbista agisce da diplomatico. E gioca soprattutto in difesa. Fabio Bistoncini, capo di Fb Comunicazione e delle relazioni istituzionali dell’associazione Ferpi, spiega la sua giornata tipo. «I clienti (noi ne abbiamo una ventina, italiani e stranieri) vengono per difendersi da disegni di legge che potrebbero danneggiarli, o per ottenere benefici per la loro azienda. Noi cerchiamo di capire chi sono i soggetti che detengono il potere reale, li contattiamo e li incontriamo. Forniamo loro dati e informazioni per dargli un quadro completo. Mai vista una tangente». A fare la differenza sono le informazioni. Gli emissari hanno un database con il curriculum, vita morte e miracoli di chi conta nei Palazzi. I più bravi conoscono persino gli hobby e le passioni: per persuadere c’è bisogno di dettagli, bisogna simpatizzare e costruire un rapporto che 15 maggio 2008 89 duri nel tempo. Il“decisore”, se appoggia un’istanza con un disegno di legge, un emendamento o una interrogazione parlamentare, ha vantaggi indiretti: un credito verso l’azienda o l’associazione, un legame che, in primis, potrebbe portare voti. «Soprattutto», chiosa Bistoncini, «diventa il campione di un tema: i politici, a parte i leader, per essere visibili hanno bisogno di specializzarsi, e i lobbisti possono essere alleati eccezionali ». Pierluigi Bersani con il suo consigliere Umberto Minopoli ha fatto proprie, ad esempio, le ragioni della strana alleanza tra coop e industria farmaceutica. Che gli hanno suggerito, ben prima che diventasse ministro, come liberalizzare la vendita di medicinali fuori le farmacie fosse un tema politicamente popolare: la battaglia difensiva degli emissari di Federfarma è stata vana. Bersani è diventato l’eroe delle lenzuolate (poi fatte a pezzi da altre lobby), coop e imprese hanno incassato il loro tornaconto. Tutti gli ordini professionali, giornalisti compresi, hanno “rappresentanti” che tentano di influenzare i potenti di turno. Per non parlare delle associazioni di categoria: Confindustria, Confcommercio, Coldiretti, Cia, associazioni dei consumatori. Ognuno ha i suoi mezzi: gli avvocati eleggono direttamente i loro rappresentanti in Parlamento, i notai sfruttano il loro prestigio e, dicono i maligni, gli appartamenti di lusso che la Cassa nazionale del Notariato affitta nel centro di Roma. «In realtà», dice il presidente dell’Istituto, «ci vivono solo l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano e il neo titolare della Farnesina Franco Frattini. E pagano circa 2 mila euro al mese». Le strategie sono molte: banche e assicurazioni pensano che l’unione faccia forza, e hanno da poco federato le due associazioni che le rappresentano (Abi e Ania) per pesare ancora di più. In Italia un film-cult del settore come “Thank You for Smoking”, che racconta le gesta dei “mercanti di morte”, sarebbe difficile da girare. Se Federmeccanica è riuscita a piazzare gli elicotteri Agusta al presidente americano con un’operazione che molti non esitano a definire «eccezionale », le lobby del tabacco sono in declino verticale: la Philip Morris e la British American Tobacco, che in Italia ha come emissario l’ex assistente di Marcello Dell’Utri Riccardo Pugnalin, nonostante amicizie importanti (intercettazioni giudiziarie hanno raccontato i rapporti strettissimi tra il direttore dei Monopoli Giorgio Tino e alti dirigenti d’azienda) non sono riusciti a fermare l’onda salutista partita con l’ex ministro Sirchia.

Macchina da guerra
Claudio Velardi, a detta persino dei nemici, è una macchina da guerra. Ex braccio destro di D’Alema, lobbista della prima ora con la sua società Reti, si è inventato un’agenzia che fattura ogni anno, solo nel campo del public affair, circa 6 milioni. «Io non so fare niente, ho solo grandi idee», ripete in continuazione ai suoi collaboratori nella sede di Palazzo Grazioli. Umiltà che non si addice all’allure di quelli che sono (o sono stati) i suoi clienti di punta: da Autostrade, che ha bussato alla sua porta durante il pasticcio Abertis senza troppa fortuna, a Enel, da Lottomatica a Google, da Terna a Unicredit, passando per Fastweb (ma i rapporti si sono bruscamente interrotti), fino a Sky e Tosinvest, la finanziaria della famiglia Angelucci a cui proprio Velardi cedette le quote di maggioranza del “Riformista”. Parte del gotha dell’industria nazionale chiede i suoi servigi, ma anche l’ordine degli architetti ha aperto il portafoglio per ottenere intermediazione con i politici per leggi considerate ostili. Velardi da qualche settimana ha lasciato ufficialmente ogni carica: è a Napoli per sostenere l’amico Bassolino, diventando l’assessore al Turismo. La sua creatura, capitanata da Antonio Napoli e Massimo Micucci, continua a macinare successi, tanto che l’ex numero uno di Autostrade, Vito Gamberale, sembra in trattative per entrare nella squadra. L’ufficio-lobby è formato da un gruppetto di meno di dieci persone. Giovani con stipendi che superano di poco i 1.500 euro al mese. «Si lavora come pazzi, anche 12 ore al giorno: ma mettere Reti nel curriculum apre molte porte », racconta una fonte che conosce bene la società. I pacchetti all inclusive prevedono l’identikit dei politici da agganciare, incontri one-to-one, il monitoraggio continuo dei resoconti parlamentari e degli emendamenti che interessano il cliente. Il pressing sui big della politica è fondamentale, e la rete di networking di Velardi, uno che più trasversale non si può, è uno strumento fenomenale. Senza dimenticare segretarie, vice capo di gabinetto, dirigenti e portaborse: sulla terrazza dell’ufficio vengono organizzate feste apposta per loro. Strategie simili anche da Fb Communications, Sec, Nomos, Barabino& Partners, Cattaneo Zanetto&Co, gli anglosassoni di Weber Shandwick e Burson-Marsteller: tutti studi specializzati che fanno affari a sei zeri. Non solo con le multinazionali, ma anche con le associazioni e le medie imprese.

Incontri a parte, per creare consenso si organizzano convegni a porte chiuse (dove eventualmente far incontrare il ministro di turno con il cliente- questuante). Non è un caso che la presentazione del libro di Chicco Testa “Tornare al nucleare?” sia stata organizzata da Reti, che ha tra i suoi clienti aziende pronte a investire miliardi nel business dell’atomo. Un contratto annuale costa a una grossa azienda circa 150 mila euro. E non è detto che il lobbista garantisca l’obiettivo. Il caso della Telecom di Marco Tronchetti Provera è paradigmatico. Il lobbista “ufficiale” era, durante l’affaire Rovati e lo scontro titanico con Romano Prodi, Riccardo Perissich. Professionista consumato e (troppo) sicuro di sé. Secondo i critici avrebbe gestito male la partita: ottimi rapporti con chi contava poco (Fassino); pessimi con chi contava davvero (D’Alema e i prodiani). «Bisogna sempre prevedere le crisi: Prodi in campagna elettorale ha attaccato senza sosta i monopoli, il rapporto con Tronchetti è sempre stato difficile: bisognava attrezzarsi meglio alla inevitabile guerra», dice chi ha lavorato al dossier. Anche il ritorno di Margherita Fancello, ambasciatrice dell’azienda fino al 2000, richiamata in servizio come super-consulente dall’ex capo della sicurezza Giuliano Tavaroli, è servito a poco: la trama costruita fino al 2005 dalla “rammendatrice”, come s’è autodefinita l’amica di Francesco Cossiga e Paolo Cirino Pomicino, non ha evitato la sconfitta. Reti viene contattata quando Prodi s’impunta contro la ventilata cessione dell’azienda all’impero di Murdoch: Tronchetti sperava che Velardi e il socio Livia Aymonino (moglie di SilvioSircana, portavoce del premier e titolare della Sircana & partners) potessero sbrogliare la matassa grazie alle loro entrature. Troppo tardi: mission impossible. Ma quello che terrorizza quotidianamente i lobbisti sono i “buchi” che rischiano di prendere seguendo i dossier. In Italia un disegno di legge può cambiare ogni due giorni, mettendo in pericolo il sistema nervoso di chi difende interessi particolari. «Se passa un emendamento contrario e te ne accorgi troppo tardi, il cliente ti leva la pelle. Sotto Finanziaria è un delirio, uno stress pazzesco », spiega una ragazza in carriera.

I battitori liberi

I punti di riferimento dei lobbisti sono Gianni Letta, eterno factotum di Berlusconi, Massimo Romano, ex Enel ed Ilva, e l’ex piduista Luigi Bisignani, gran maestro delle relazioni pubbliche il cui zampino è finito in operazioni come Wind e l’arrivo di Scaroni all’Eni. Miti viventi, ormai più influenti di qualsiasi parlamentare. «Ma la maggior parte dei lobbisti con cui parliamo», racconta un deputato che ha lavorato in commissioni Attività produttive, «sono anime in pena che difficilmente ottengono qualcosa. Alcuni millantano persino un mandato che si rivela fasullo, in modo da potersi rivendere agganci a una o più aziende. I piccoli imprenditori vengono a volte letteralmente truffati: oggi i parlamentari possono al massimo piazzare un’inutile interrogazione di routine». Ma le eccezioni ci sono. Stefano Lucchini, dirigente dell’Eni, è considerato oggi il lobbista più potente del Paese. Collaboratore di Raul Gardini, ex di Enel e Banca Intesa, freddo e serafico, è coordinatore di una squadra di decine di persone che marca letteralmente a uomo senatori e ministri (leggenda vuole che i parlamentari girino in commissione i suoi desiderata senza neanche strappare l’intestazione dal fax). Soprattutto Sua Eminenza, come lo chiamano nel giro, ha creato una rete di amici e sodali in posti chiave di decine di aziende: è un cacciatore di teste che sistema persone e interessi. Vicino all’Opus Dei, alla comunità ebraica e al Vaticano, ha capito prima di tutti che il mestiere non si fa solo a Roma: i suoi emissari fanno pressing sia all’estero, Russia in primis, sia nei comuni e nelle regioni dove l’Eni fa affari miliardari. Perché la riforma Bassanini ha cambiato tutto: più che dagli onorevoli, appalti e concessioni vengono decisi da sindaci, assessori e oscuri funzionari che mettono mano ai piani locali di sviluppo. «Se vuoi costruire un rigassificatore o un impianto cerchi di partecipare al progetto, di capire di cosa ha bisogno l’amministratore: un asilo nido, una donazione all’università, la sponsorizzazione di un teatro», dice un lobbista del ramo costruzioni. I giornali locali, più di quelli nazionali, servono a creare consenso. Gianluca Comin, direttore della comunicazione Enel, ex “Gazzettino” ed ex portavoce del sindaco di Venezia Paolo Costa, si gioca tutto sull’amicizia di direttori e caporedattori, ed è un altro operatore di prima grandezza. Anche la finanza ha i suoi campioni. Il brillante Marco Simeon (30 anni) ha ricollocato Cesare Geronzi dentro il Vaticano grazie ai legami con il cardinale Bertone (ha ottenuto per il suo capo una serie di udienze private dal Papa, e, come ha raccontato Report, è riuscito ad incassare dai Toti oltre un milione di euro come consulente per un’affare immobiliare), mentre gli interessi del presidente di Mediobanca vengono curati direttamente da un lobbista doc come Luigi Vianello, appassionato di Internet e fonte di Dagospia. In grande ascesa ci sono l’ex carabiniere Daniele Cavaglià, fumatore incallito e panzer degli Angelucci, e Luca Mantovani, raffinato bongustaio ed ex portavoce di Beppe Pisanu al Viminale, che si è regalato una società tutta sua: ora potrebbe far pesare l’amicizia con uno stretto collaboratore di Berlusconi come Valentino Valentini. La Telecom e Bernabé punteranno per il rilancio dell’azienda su Carlo Fornaro, vicino agli ambienti bancari italiani e della City, mentre alla Fiat è caccia aperta al sostituto di Ernesto Auci. A Torino rimpiangono ancora l’addio di un maestro come Maurizio Beretta, e per la Jdf, società a cui la dirigenza ha commissionato la short list di pretendenti, non sarà facile trovare l’uomo giusto. «Ma con Marchionne», spiegano dal Lingotto, «da anni puntiamo meno sul Palazzo e rottamazioni e più sul prodotto e sul marketing». In realtà gli uomini Fiat si sono spostati a Bruxelles, per «indirizzare» la commissione ambiente e quella industria verso misure che non mettano limiti eccessivi. Alle emissioni e, di conseguenza, alle vendite. Anche quella del lobbista è diventata una professione globalizzata, ma le strade della persuasione portano, sempre e comunque, a Roma.

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