Continua ad aumentare il numero di tifosi colpiti da Daspo. Ma i provvedimenti di diffida non scoraggiano gli incidenti. Fuori e dentro i campi. E si radicalizza lo scontro con la polizia
A Bergamo il Bocia, al secolo Claudio Galimberti, capo della tifoseria nerazzurra, con nove Daspo (il bando dagli stadi) sul groppone, è pronto a organizzare l'ennesimo treno speciale per seguire le trasferte dell'Atalanta.
A Roma Luciano, fan biancoceleste, al pallone ormai pensa assai di meno: è pluripregiudicato e ha perso il lavoro collezionando sentenze per direttissima. Per lui tutto è cominciato scavalcando un muro per entrare all'Olimpico, poi è stato condannato per essersi dimenticato di firmare in commissariato durante alcuni match della Lazio: partite amichevoli, non il campionato.
A Catania, Antonio Speziale, 18 anni appena compiuti, più che alle prodezze degli etnei pensa a difendersi nel processo che sta per iniziare dall'accusa di omicidio: quella nei confronti di Filippo Raciti, l'ispettore di polizia rimasto ucciso negli scontri del derby con il Palermo.
Loro, i diffidati, sono diventati il simbolo della violenza in nome del calcio: ma il mondo delle curve li guarda con ammirazione, come un'avanguardia militante e militare. Di questo mondo ci si è dimenticati troppo in fretta, archiviando la scorsa stagione come un capitolo positivo grazie a tornelli, stewart e tribune apparentemente più tranquille. Ma l'apertura del campionato con la guerriglia romana della tifoseria napoletana, i vagoni devastati e i soprusi contro i viaggitori ha costretto tutti a fare di nuovo i conti con la questione ultras. La marcia su Roma dei violenti con il volto coperto ha colto di sorpresa le forze dell'ordine, lasciando una scia di danni e polemiche.
Gli stadi sono più sicuri? Forse sì, ma il problema si è spostato sempre di più dagli spalti alle città. E ha riproposto gli interrogativi sull'efficacia di molti provvedimenti varati negli ultimi anni. A partire proprio dai Daspo, che se da una parte hanno aumentato la rapidità e l'incisività delle sanzioni contro gli alfieri dello scontro, dall'altra hanno contribuito a compattare il fronte delle curve nell'odio contro agenti e carabinieri. Trasferendo così il conflitto lontano dai campi di gioco.
Perché, nonostante la stretta legislativa contro il tifo organizzato, la violenza negli stadi negli ultimi anni non è diminuita per nulla. Si è invece trasformata, modificando i bersagli: gli ultras non combattono più tra loro. Oltre il 40 per cento degli assalti avviene contro le forze dell'ordine, individuate come nemico comune: le chiamano acab, 'all cops are bastards', copiando il grido di guerra degli hooligans britannici.
4 mila reclute Solo nell'ultima stagione il numero di diffidati è aumentato di 1.787 unità, portando l'armata dei Daspo a contare oltre 4 mila reclute. Perché quello scorso è stato un campionanto solo apparentemente più tranquillo. Ci sono stati due morti violente, quelle di Gabriele Sandri e Matteo Bagnaresi, legate al calcio. E un bilancio di feriti migliore rispetto al passato, ma che comunque elenca 200 nomi tra agenti e carabinieri e 161 tra i tifosi.
Anche quest'anno però, insieme alle circolari rituali delle prefetture che invitano a tenere il fenomeno ultras "nella massima considerazione", la sicurezza negli stadi è in larga parte affidata alla repressione, e cioè al Daspo (divieto di assistere alle manifestazioni sportive), provvedimento amministrativo emesso dalle questure che poi inoltrano il fascicolo alla magistratura per la conferma.
Senza un giudizio, e quindi senza un processo, il Daspo diviene quasi sempre operativo dopo il 'bollo'' dei magistrati, indipendentemente dall'esito dei processi per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale. E, in assenza di una politica di prevenzione, rimane l'unico argine per contrastare l'ondata di fanatismo che attraversa l'Italia la domenica pomeriggio. Con risultati non sempre trasparenti che vengono sfruttati e talvolta strumentalizzati dalla tifoseria per incentivare le cariche violente.
Avvocato e diffidato Marco ha scoperto a sue spese i limiti giuridici della procedura. È un avvocato penalista milanese, ha circa 30 anni, ed è il legale dei Boys interisti; ha seguito tanti casi di ragazzi finiti nelle maglie del provvedimento di diffida, del quale è stato vittima egli stesso, sfegatato tifoso nerazzurro. Era a Messina, nell'autunno del 2004, quando l'incontro venne sospeso per qualche minuto dopo che Zoro, il difensore ivoriano dei peloritani, si era fermato, protestando con l'arbitro, con i suoi compagni di squadra e con gli avversari, per i cori razzisti provenienti, disse, dalla curva interista.
Alla Digos nessuno, giocatori e accompagnatori, confermò di aver visto o sentito nulla, tranne un dirigente del club siciliano che aveva udito qualche coro da una zona precisa della curva nerazzurra. Dalle immagini delle telecamere di quel settore spuntarono i volti di Marco e di altri tre Boys nerazzurri. "Sono stato convocato in questura a Milano e ho capito che si metteva male. La diffida è arrivata dopo due mesi", racconta il legale. Il verdetto: divieto di accesso agli stadi per due anni, misura di sorveglianza parallela e, visto che si tratta di un avvocato, per lui si apre anche il procedimento disciplinare con un richiamo formale dall'Ordine forense.
È l'inizio di un incubo. Dopo sei mesi il pm avanza la richiesta di archiviazione: non c'è una sola prova a carico dei quattro ragazzi. "E neanche uno straccio di indizio", aggiunge l'avvocato 'ultras'. Ma il gip rigetta la richiesta e l'inchiesta prosegue. Si replica dopo sei mesi. È passato un anno e Marco ha già scontato metà della diffida comminata senza che la giustizia si sia pronunciata.
Il caso è tortuoso e il gip rigetta per la seconda volta la richiesta di archiviazione, nominando un perito tecnico. A lui il compito di leggere i labiali delle cassette video con le frasi razziali incriminate. Ma è un buco nell'acqua. Da quelle immagini non si evince nulla. Marco conosce le leggi e sa che per opporsi al Daspo esistono solo due strade: ricorso al Tar o Cassazione. Sceglie quella amministrativa. Dopo due anni, con la diffida scontata integralmente, il Tar gli dà ragione e l'inchiesta si chiude.
Bollato come razzista da stadio, l'avvocato si sfoga: "Bisogna avere il coraggio di ammettere che la quasi totalità dei Daspo affibbiati ai tifosi è illegittima. Anzi, diciamola tutta: è una procedura anticostituzionale. Questa repressione non fa altro che esasperare gli animi. Io ho avuto la fortuna, per la mia formazione personale e professionale, di potermi difendere. Ma se al mio posto si fosse trovato un ragazzo disoccupato?". E alla fine rimane un sospetto: "Ho la sensazione che tutto sia nato per una ritorsione nei miei confronti. Il fatto che in curva ci siano avvocati pronti a difendere gli ultras non è gradito".
Puniti e assolti Per l'avvocato Giovanni Adami, che segue in tutta Italia i diffidati, da Udine sino a Catania, "i conti della giustizia non tornano: dopo avere scontato la diffida, quasi il 60 per cento dei tifosi viene assolto. Su questi numeri occorre una seria riflessione".
Il dibattito giuridico è aperto da anni su una "misura ingiusta, anche se il principio su cui si basa è sacrosanto: se qualcuno è pericoloso deve essere allontanato", dice Lorenzo Contucci, penalista romano che si occupa del problema: "Ma è sbagliato affidare alle autorità di polizia l'applicazione di queste misure. L'obiettivo di fondo sembra essere quello di smantellare le tifoserie organizzate. E di marchiare a vita questi ragazzi con l'obbligo di firma in questura".
Se la parola d'ordine è 'repressione', al di là dei sospetti, più o meno giustificati, sono casi come quello di Marco che contribuiscono alla nascita del vittimismo, dei miti dell'antagonismo alle divise e dell'onore ai diffidati. In un crescendo di sfida alle istituzioni che non risparmia nessuno, forse neanche chi le regole ha il compito di farle rispettare.
Come leggere, infatti, il sequestro di uno striscione beffardo, ma certamente non eversivo ('A noi ce s'è rotto il fax'), costato una proposta di diffida di tre anni con obbligo della firma per il tifoso della Roma che lo ha esposto all'Olimpico nella prima partita dopo il decreto anti-violenza. Voleva reagire con ironia alle direttive dell'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive che vietano slogan offensivi e stabilisce che anche il testo di un banale cartellone di sostegno alla propria squadra va comunicato in anticipo via fax alla società ospitante.
Un caso limite? Non sembra: a Pisa cinque tifosi sono entrati nel mondo dei Daspo per avere lanciato rotoli di carta igienica. La motivazione: è vietato portare allo stadio materiale 'infiammabile'. Tolleranza zero anche in questo caso.
Testuggine in curva Il risultato è che le curve si chiudono a riccio. Ogni gruppo è organizzato in maniera standard. Un prisma interdetto ai profani, al cui vertice c'è un direttivo composto da 15-20 persone a dettare le strategie: organizzare le trasferte, preparare le coreografie, studiare slogan e cori per incitare i propri idoli. Funziona così nelle grandi città come nei campetti di provincia. Il leader e il direttivo non vengono 'eletti'.
Si scelgono. Contano le battaglie sul campo, il coraggio e il fanatismo. E i Daspo. Un culto tutto giovanile, dove lo status di diffidato non è vissuto come vergogna, ma come medaglia da appuntare al petto.
A Bergamo il capo indiscusso è il Bocia-Galimberti, che ha collezionato finora nove diffide, l'ultima nel 2005. "Sono nato allo stadio, per me l'Atalanta è tutto. La seguo e l'amo sin da bambino. Non accetto compromessi. Sono pronto a morire in piedi", è il suo credo di battaglia. È probabilmente il tifoso più diffidato d'Italia, sicuramente tra i più autorevoli, visto che a lui la polizia di Bergamo si rivolge per tenere calmi gli animi.
Era il 4 ottobre 2005 e Bocia era stato convocato il giorno prima in questura. Gli avevano chiesto una mano per evitare tensioni."Ma alle 15 della domenica i cancelli sono stati chiusi, come vuole il regolamento. Nessuna elasticità. Migliaia di persone con il biglietto o l'abbonamento sono rimaste fuori. È scoppiato il pandemonio. Cariche della polizia e lanci di lacrimogeni in curva. Alla fine, nel bene e nel male, alla Digos sanno che io sono in grado di riportare la calma. Sono sceso in campo, ho parlato coi ragazzi, tutto è tornato tranquillo".
Bocia 'il mediatore' si aspettava un segnale di riconoscenza: "E invece il giorno dopo mi hanno convocato in questura notificandomi l'ennesima diffida: tre anni e mezzo, e poi è arrivata la condanna in primo grado a un anno. Alla sbarra eravamo in 12. Tutti assolti tranne me".
Come accade per i mafiosi, le diffide e le condanne invece di cancellarlo aumentano il 'prestigio' dei capi. E non solo nei confronti dei compagni di curva. Le parole dell'ultras di Bergamo aprono scenari inquietanti, tutti da verificare: "Sono pluri-diffidato, ma i miei soldi fanno gola. La legge ha vietato i treni speciali da tempo.
Ma alla vigilia di ogni trasferta mi chiamano puntualmente i dirigenti delle Ferrovie: dài Galimberti, mi dicono, lo facciamo un bel treno per voi questa settimana? Rispondo che non si può, la legge lo vieta... Ma dall'altra parte del telefono sono sempre pronti a trovare la soluzione". Così il treno speciale diventa 'straordinario', 40 mila euro per allestire otto vagoni. "È l'altra faccia di uno Stato pronto a condannare la mia mentalità da tifoso, ma bravo a chiudere gli occhi e allungare la mano quando c'è da incassare contanti", conclude il Bocia: "Noi non siamo dei santi, l'Atalanta è qualcosa di sacro, inviolabile. Siamo pronti a batterci e non lo nascondiamo. Ma crediamo nella lealtà, nel rispetto degli avversari. In fondo mi usano. Per portare la pace o per avere un titolo a effetto sui giornali".
E la sua previsione non è certo rosea: "Molti sbagliano e la violenza diventa fine a se stessa. Il futuro lo vedo nero. La colpa è soprattutto di chi non vuole comprendere le nostre ragioni. Si continua a diffidare ragazzini di 15 anni per dei peccati veniali: così la risposta sarà un antagonismo sempre più duro". n