La situazione in Campania? È grave ma non è seria, direbbe Ennio Flaiano davanti allo spettacolo infinito della monnezza napoletana. In effetti, i sacchetti neri sono tornati protagonisti delle cronache dei quotidiani da un mese, e sotto il cielo azzurro del Golfo se ne vedono, come sempre, di tutti i colori. Le discariche aperte da Bertolaso e compagni sono in via di saturazione, l'inceneritore di Acerra non brucia quanto dovrebbe e avvelena (forse) più del dovuto, i disoccupati si trasformano in delinquenti e distruggono i camion della raccolta, la gente che vive sotto il vulcano urla contro il nuovo sversatoio di Terzigno invocando, letteralmente, l'intervento divino. Manifestazioni e violenze sono all'ordine del giorno, i camorristi fanno affari affittando i bobcat necessari ad alzare le centinaia di tonnellate di rifiuti rimaste a terra. Nel bailamme, il leghista Luca Zaia fa sapere che lui, la spazzatura napoletana, non se la prende manco da morto: pare puzzi più di quella padana. "In Veneto", ha detto il governatore, "non passa lo straniero".
La sceneggiata si ripete ormai da tre anni, uno show in cui i politici recitano a memoria il solito monologo dello scaricabarile, in un gioco delle parti, quello del rimpallo delle responsabilità, che stavolta ha il suo campione in Silvio Berlusconi. "Tutta colpa della Iervolino", ha tagliato corto puntando il dito sulla sindaca che starebbe rovinando il suo presunto miracolo, a pochi mesi dalle elezioni comunali. Ma nel suo j'accuse il presidente del Consiglio dimentica che da quasi un anno l'uomo che deve smaltire l'immondizia del capoluogo, l'amministratore diventato per legge Mr. Monnezza, è il suo amico e fedelissimo Luigi Cesaro detto "a' Purpetta", presidente della provincia di Napoli dal 7 giugno 2009.
Già: volente o nolente è lui che deve risolve il problema, lo spazzino condannato, dal decreto voluto da Silvio in persona, a ripulire le strade e ideare una strategia efficace a lungo termine. Anche Bertolaso lo ha ripetuto più volte al Cavaliere: "Dovete muovervi, prima che sia troppo tardi, prima che la Campania ricada in una crisi devastante come quella del 2008".
Ma chi è davvero Mr. Monnezza, nato a Sant'Antimo 58 anni fa, figlio di una potente famiglia di costruttori, già avvocato, funzionario di un'Asl casertana e deputato del Pdl dal 1996?

Oggi scopriamo altri dettagli del passato di Cesaro. Il Comune di Sant'Antimo, dove la famiglia si occupa anche di sanità ed è propietaria di un centro sportivo dove il Milan si allena quando deve giocare a Napoli, è stato sciolto per infiltrazioni mafiose nel 1991. Luigi ripete come un disco rotto che al tempo lui non era né assessore né sindaco: è così, solo il fratello Aniello sedeva in consiglio. Tommaso Sodano e Nello Trocchia, nel libro "La peste" appena uscito per Rizzoli, ricordano però come Luigi nello stesso anno fosse allora socio della cooperativa Raggio di Sole, strumento del potente clan Verde - recita la relazione del ministero degli Interni che accompagna il decreto di scioglimento per infiltrazione mafiosa - per gestire appalti e affari. Altro potente gruppo camorrista della zona è poi quello dei Puca. Ecco: secondo un'altra informativa del tenente colonnello dei carabinieri Antonio Sessa, "a' Purpetta" in quegli anni frequenta anche loro. Sessa va giù duro, e conclude così: "Cesaro per quanto compete risulta di cattiva condotta morale e civile... In pubblico gode di scarsa stima e considerazione. È solito associarsi a pregiudicati di spicco della malavita organizzata operante a Sant'Antimo e dintorni".
Mr. Monnezza dai processi è uscito sempre lindo e pinto, e ha fatto in vent'anni una brillante carriera politica, parallela a quella del sodale Nicola Cosentino, l'ex sottosegretario su cui pende una richiesta d'arresto per concorso in associazione camorristica. Dal Psi a Forza Italia, eletto sindaco del suo paese, poi europarlamentare, coordinatore del Pdl locale, oggi è diventato "o' presidente" della Provincia. Ruolo che comporta onori e oneri, tra cui la patata bollente della spazzatura. Senonché, i suoi primi approcci per aggredire l'emergenza appaiono quantomeno maldestri: i tentennamenti sull'apertura di una seconda discarica nel parco del Vesuvio, gli attacchi alla Iervolino incapace di aumentare la raccolta differenziata, la proposta-choc di ampliare gli sversatoi (anche quelli chiusi) in altri comuni già provati, come Chiaiano, Tufino, Giugliano e Acerra. Ipotesi che ha scatenato tensioni e immediate proteste da parte dei sindaci interessati.
L'altra creatura made in Cesaro è la Sapna, la società che ha il compito di gestire l'intero ciclo dei rifiuti, competenza assoluta delle province dal primo gennaio 2011. Alla sua guida Gigino ha chiamato l'ex prefetto Corrado Catenacci, già commissario straordinario ai rifiuti tra il 2004 e il 2006, per il quale è stato staccato un assegno da 60 mila euro per il primo anno di lavoro. Affittati i nuovi uffici, a fine settembre è stato varato il nuovo statuto che prevede un consiglio di amministrazione con un numero di componenti compreso tra tre e cinque, un direttore generale, un comitato tecnico scientifico formato da cinque esperti e un collegio sindacale di tre: se in dieci mesi non sono stati trovati altri spazi per i rifiuti napoletani, sono stati rapidamente individuati nuovi incarichi e altrettante poltrone.
Intanto, nonostante gli sforzi di Gigino e Silvio, il caos a Napoli è all'ordine del giorno. Ad Acerra da oltre un mese l'inceneritore funziona a scartamento ridotto, dal momento che è acceso solo un forno su tre: il colosso di ferro può bruciare meno del 10 per cento dei rifiuti prodotti quotidianamente. Pochi giorni fa sull'impianto che la Regione Campania dovrebbe comprare da Impregilo per 355 milioni di euro ("Un pacco", mormorano i tecnici) è caduta un'altra tegola: gli esperti della direzione Ambiente della Provincia, in un parere depositato a luglio, hanno scritto nero su bianco che la struttura non è conforme con quanto previsto dall'Autorizzazione integrata ambientale, e che non risultano effettuati "buona parte degli interventi strutturali riportati nell'Aia". Il sistema di monitoraggio delle emissioni di metalli non è sufficiente, non esiste alcun controllo continuo del mercurio. Insomma, ci sarebbero omissioni, e pure gravi, tanto che la Procura di Napoli ha aperto un fascicolo e chiesto ai carabinieri del Noe di investigare.
Gli occhi sono puntati anche sul rebus discariche. L'obiettivo è sempre lo stesso: aprire nuovi fossi per nascondere monnezza e spostare in avanti le lancette dell'orologio della crisi prossima ventura. Bertolaso preme per scavare a Cava Vitiello a Terzigno, ma nel mirino ci sono anche Valle della Masseria a Serre. Due "mission impossible", che nascondono il vero proposito del governo e di Cesaro: una discarica a Vallata vicino ad Avellino, l'unica località davvero lontana dai centri abitati e dall'olfatto dei cittadini. "Ma nessuno sa nulla, si viaggia a vista", spiegano gli uomini più vicini a Cesaro, che qualche giorno fa è partito per Milano per discettare con il premier sul da farsi. "Il vero problema? Non c'è un euro in cassa, non ci sono risorse, persino la Sapna rischia di andare in rosso a un anno dalla sua nascita".
Già, i soldi, l'emergenza delle emergenze: non ci sono risorse per pagare i dipendenti, i sindaci campani non pagano gli ex consorzi, che stanno tagliando centinaia di posti di lavoro. In qualche caso, il blocco della raccolta è figlio di atti teppistici, come la distruzione dei camion di Enerambiente, l'azienda che gestisce in subappalto dalla municipalizzata Asia la rimozione dei sacchetti in mezza Napoli. Risultato: la città appestata per giorni. Il blitz pare organizzato dai lavoratori interinali di una cooperativa di ex detenuti, la San Marco, sciolta da tempo per il ritiro del certificato antimafia. "La situazione è precipitata, è drammatica", chiosano gli esperti. Berlusconi, però, fa spallucce: "Il problema dei rifiuti in Campania mi risulta risolto al 95 per cento". È quel 5 per cento che fa tremare i polsi.