Linguaggio basic, faccia tosta, niente puzza sotto il naso. Ieri cultore dello scoop, oggi berlusconiano senza dubbi. Segreti e atout del direttorissimo del premier. E del Tg1

Fenomenologia di Minzo

L'immagine plastica di lui, felice come un gatto, il 26 settembre a Milano, festa Pdl, seduto insieme agli altri due, secolarizza finalmente la situazione. Da un lato, Angelino Alfano, ministro della Giustizia di Berlusconi. Vicino Niccolò Ghedini, avvocato di Berlusconi. E poi a intervistarli, nel senso berlusconiano del termine, ovvero sostenendo in pieno le tesi dei più amati dal leader dei leader, lui, Augusto Minzolini, capo del Tg1 scelto e prediletto da Berlusconi, primo direttore, a dir poco sbracato, nella storia del suddetto giornale, a essere diventato uno spot. Quello di "Parla con me", il programma di Serena Dandini, fedele all'ormai classico iter della Rai contemporanea, censura, polverone mediatico, riammissione. L'ennesima polemica su una direzione platealmente filo premier, espressione più alata del camaleontismo minzoliniano, grande cronista da marciapiede, un tempo rovello dei politici (si travestiva da fattorino, da commesso, da operaio, ora evidentemente da direttore), che a dire il vero, però, non gli fa proprio un baffo.

L'uomo al centro di questo continuo putiferio politico così hard da diventare anche modello estetico, è tipologicamente pragmatico. La chiave della fenomenologia di Minzolini, detto Minzo, è racchiusa e non è mai cambiata, nella frase che pronuncia in una particina in "Ecce bombo" di Nanni Moretti, fratello della sua compagna di scuola Silvia. Siamo in pieni anni di piombo, nel mezzo di un'assemblea, si parla il sinistrese più spinto. Ma Minzolini-attore taglia corto: "La questione è un'altra. Il pallone chi lo porta?" Traduzione: parliamoci chiaro, l'occupazione si fa per fare sega a scuola. Allora, chi porta il pallone per giocare?

Altro che neo liberismo berlusconiano. Altro che rivoluzione liberale, il direttore del Tg1, 52 anni, ex giornalista di "Panorama" e della "Stampa", piuttosto charmeur con le ragazze nonostante una certa somiglianza a Martufello, accusato di firmare un giornale che più leggero non si può (meglio parlare di tinture per capelli che di disoccupazione), di aver fatto piazza pulita di una generazione di anchor, fior di professionisti, per fare largo a mezzibusti di stretta ortodossia, e che appare quasi esclusivamente per gli editoriali a difesa del governo, del premier e delle leggi ad personam, mai uno dedicato al terremoto dell'Aquila, alla marea nera, all'Afghanistan, è un hombre vertical pronto a combattere per i suoi ideali. Magari quello sincero è lui. Magari sono gli altri a essere ipocriti nel fare i pensosi e gli intellettuali, ma chi lo conosce bene ammette che la politica, le sue ragioni e i suoi meccanismi sono sì il sale della sua vita (gli scoop abbondano, il cosiddetto "patto della crostata", le rivelazioni di Luciano Violante sui guai giudiziari del Cavaliere, Dell'Utri e Forza Italia) ma anche andare in giro in Smart, che diamine, con una ventenne prima di una nottata in discoteca, vuoi mettere?

Al Tg1 fa il vecchio Minzo, il collega simpatico. Ha legato con Fabrizio Ferragni, l'uomo dei rapporti con l'Opus Dei, e con Monica Maggioni. Tiene a bada i rampanti conduttori Francesco Giorgino e Susanna Petruni forti dei loro rapporti, l'uno vanta un filo diretto con Gianni Letta, l'altra è nel cuore di Paolo Bonaiuti. La porta di Minzolini è sempre aperta (la stanza è calda come una serra, ha scritto Stefano Lorenzetto: per tenersi in forma mangia solo banane e ananas, per questo muore di freddo), non dà appuntamenti, chi vuole va, e quando finisce un giorno sì e l'altro pure nel mezzo dei polveroni, in testa quello per l'assoluzione dell'avvocato David Mills sorvolando sulla prescrizione (ma, a quanto pare, è stato lo sbaglio di un collega che lui ha coperto) non si scompone e dice, eticamente sensibile: "Non me ne frega niente. Se mi cacciano, mi faccio nominare corrispondente alle Maldive". Da Volcic da Mosca ai reportage di Minzo dall'atollo Moofushi. Nel caso in cui il cda di viale Mazzini non approvasse una nuova sede nell'Oceano indiano (tutto è possibile e probabilmente il direttore generale Mauro Masi ne sarebbe raggiante) il direttorissimo, come lo chiama il Cavaliere nelle intercettazioni, ha un'altra opzione, il Brasile. Brasilia, o Rio? Direttamente Copacabana, meglio.

Un linguaggio molto basic ("Non mi faccio beccare con il sorcio in bocca" è l'altro intercalare insieme a "Te lo posso dire con franchezza? Me sò rotto"), all'apparenza totale assenza di puzza sotto al naso (ma una certa dose di arroganza c'è: alla "Stampa" pretendeva che ad accendergli e a spegnerli il computer fosse uno dei fattorini), e un'obiettiva simpatia, hanno fatto di Minzolini un metodo, il minzolinismo, e poi anche un modello culturale e di rapporto con il potere esemplare. Gli strumenti glieli fornì Guido Quaranta, straordinario maestro del giornalismo politico e parlamentare, insegnandogli la tecnica per ingraziarsi i deputati: saluta e sorridi anche a chi non conosci, dai loro sempre ragione e poi incastrali. Una coppia formidabile, fino a quando Quaranta, che gli vuole sempre molto bene, si smarca: il suo allievo ci aveva preso gusto e provava pure a bruciargli le notizie. Infatti Minzolini aveva imparato molto bene: Bettino Craxi che detestava i giornalisti si fidava di lui, per un certo periodo pure Massimo D'Alema che considera la suddetta classe a livello coleotteri. L'avvocato Agnelli gli telefonava sempre curioso com'era degli intrighi della politica.

Ma il potere, troppo da vicino, folgora. E così accade con l'incontro con Berlusconi che trasformerà l'inventore e l'interprete del minzolinismo in Scodinzolini, secondo Dagospia, Menzognini per Marco Travaglio, Petrolini, fa finta di non ricordarsi D'Alema che l'ha messo nella solita e affollatissima lista nera. Il rapporto viene ufficializzato dal Cavaliere in un "Porta a Porta" che racconta di quando, durante una vacanza alle Bermuda per depurarsi dai vapori venefici del palazzo romano, si presenta alla porta Minzo: "Come potevo non ricevere uno con una simpatia così travolgente?". Il giornalista diventa il prototipo perfetto e programmatico del direttore televisivo per il Cavaliere che ha fatto chiacchierare e sperare tutti, ma ha sempre avuto un solo candidato: lui. La simbiosi è tale che non si capisce chi dia la linea a chi, si sentono spessissimo, si vestono uguali, total blu per editoriali e tempo libero, e per amore del premier il giornalista ha persino ricusato il suo vecchio dogma: "Il politico non ha un privato", difendendo in un editoriale il contrario (pro domo premier naturalmente).

Il direttore Embè (rispose così a chi stigmatizzava l'eliminazione del sonoro dell'attore Elio Germano reo di una critica sulla classe dirigente italiana) si fa fotografare con miss Parlamento, la bella Gabriella Giammanco ex Tg4, ora deputata Pdl, la Gabri del famoso bigliettino di Berlusconi in Parlamento - "Se avete qualche invito galante vi autorizzo ad andarvene". Emozioni più intense per lui della lettera del presidente Rai Paolo Garimberti sulla mancanza di pluralismo, dello share sempre più lontano dal 30 per cento di un tempo, della letterina a Babbo Natale di Farefuturo web magazine: "Portalo con te al Polo Nord, dove ti pare, ma toglilo dal Tg1".

Il post minzolinismo arriva all'eresia del minzolinismo: "Il Tg1 era troppo sbilanciato al Centro e al Sud", ha dichiarato lui che da corrispondente negli Usa non smetteva di scrivere del palazzo romano. Così ecco i pregiati servizi sul Carnevale di Sappada, (Belluno) e sul Carnevale delle arance di Ivrea. Si starà esercitando in previsione della futura corrispondenza in Brasile, se finisce a Rio hai voglia a Carnevali.

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