Leghista duro e puro. Sindaco-sceriffo. Integralista cattolico. Estremista di destra. Condannato per razzismo. Ultrà da stadio. Anzi, no: politico indipendente dal governo, al punto da teorizzare la spallata finale a Berlusconi. Amministratore pragmatico, furbo e radicatissimo. Gran cacciatore di voti moderati. Ammiratore di Pertini e sostenitore di Napolitano. Uomo di collegamento con i potentati bancari orfani della vecchia Dc. Calciatore del sabato in una squadretta piena di immigrati. E addirittura finanziatore e ospite dei missionari in Africa.
Visto da lontano, Flavio Tosi, dal 2007 primo cittadino di Verona, può sembrare un trasformista pirandelliano. Invece lui rivendica "coerenza e fedeltà con gli elettori". "Certo, all'inizio per farmi conoscere ho fatto un po' di rumore", sorride, aprendo a "l'Espresso" il suo ufficio con vista sull'Arena romana. "Ma una città non si amministra con gli slogan e le bandiere. Rispetto al 1994 gli elettori sono molto più maturi, votano la persona e vogliono vedere i fatti. Io incontro cittadini ogni giorno. E so che la gente è stufa degli sprechi e molto preoccupata dalla crisi. Per questo dico che il centrodestra deve trovare subito un nuovo premier. Altrimenti l'Italia rischia la bancarotta".
Sotto l'ala di Maroni, che lo definì "il mio braccio destro sulla sicurezza delle città", Tosi oggi si trova a occupare uno spazio al centro degli equilibri politici. È tra i primi a spezzare la sudditanza con Re Silvio su temi incandescenti come il caso Cosentino, le elezioni a Milano o i 27 milioni di sì ai referendum. Nella Lega osa contrapporsi al "cerchio magico" dei bossiani e resistere alle purghe ordinate dal segretario veneto Gianpaolo Gobbo.
E comunque finiscano i grandi giochi di governo, Flavio l'ex estremista sa di essere tra i pochi amministratori del centrodestra a poter sopravvivere al berlusconismo: già la settimana scorsa, davanti a 400 sostenitori riuniti al Piper, ha annunciato che alle comunali del 2012 ripresenterà la Lista Tosi, la sua "squadra di esterni", sottolinea, "creata proprio per recuperare voti non leghisti".
Per capire quanta strada ha fatto un personaggio a lungo etichettato nel folklore politico delle ordinanze anti-tutto, ma oggi corteggiato dalle tv nazionali, bisogna partire da una famiglia veronese di Borgo Venezia, il quartiere popolare dove Tosi è cresciuto. Il padre, impiegato della Mondadori pre-berlusconiana, lo manda a studiare al Maffei, il liceo classico che alleva il ceto dirigente veronese e gli regala base culturale non comune nella Lega. La politica nel sangue però gliela mette la madre, morta nel 2006. A meno di vent'anni il suo Flavio s'innamora della Liga Veneta e comincia a riempire la città di manifesti e volantini. S'iscrive a Ingegneria elettronica, lavoricchia come informatico, ma in breve molla tutto per Bossi. Un virus di famiglia: oggi la sorella, Barbara Tosi, è consigliere comunale e il padre rappresenta il Carroccio nella circoscrizione. Professionista nella politica, insomma. Eppure riesce ancora a presentarsi come leader dell'antipolitica.
Nel 1994, a 25 anni, viene eletto consigliere comunale. Fa il pieno di voti nella curva dei duri dell'Hellas Verona e tra gli integralisti cattolici, che ora lo accusano di averli scaricati. Lui continua ad andare a messa ogni sabato e tuttora ha ottimi rapporti con il vescovo. Nel 2000 sbarca in consiglio regionale. Ma non molla il posto in Comune e diventa pure segretario provinciale del partito. Il controllo del territorio è la sua regola. Quando porta la Lega all'opposizione della giunta di centrodestra, cala il gelo di Bossi, che a un comizio viene sentito sbottare contro "quel Tosi lì".
Il partito non tollera posizioni personali, ma nel suo caso si ricompatta. Insieme ai berlusconiani. Tutti contro "i pm politicizzati". Casus belli è una forsennata campagna contro un campo nomadi. Tosi subisce una condanna definitiva per istigazione all'odio razziale. L'effetto politico però è un successo. Lo stato maggiore della Lega sfila a Verona davanti a una minacciosa lapide del procuratore Guido Papalia. Tosi diventa un simbolo dei padani perseguitati per la sicurezza dei cittadini. E alle regionale del 2005 fa il botto: 27.914 preferenze, il più votato in Veneto. È il grande salto di potere.
Il trionfo politico gli assicura la poltronissima di assessore alla Sanità, che controlla tre quarti del bilancio regionale. E da allora resta un feudo dei leghisti veronesi: anche l'attuale responsabile, il geometra Luca Coletto, è creatura di Tosi. Che in Regione trova pure moglie: Stefania Villanova, vicentina di Thiene, separata con un figlio, funzionaria della sanità veneta e amicissima della moglie di Coletto. Piccolo problema: è berlusconiana, adora Angelino Alfano e ama i vestiti appariscenti. Lui la sposa nel 2006, il 17 dicembre alle 17, in una chiesetta di provincia, con appena 25 invitati. Testimone di nozze è Federico Bricolo, che in Regione era conosciuto solo come "l'autista di Tosi": diventato parlamentare del cerchio bossiano, ora briga per far cacciare l'ex amico Flavio, protetto però dai "maroniti" veronesi Giovanna Negro e Matteo Bragantini.
Nel 2007 Berlusconi, che quattro anni prima era riuscito a perdere Verona sbagliando il candidato, incorona il giovane Flavio nella villa di Aldo Brancher, che Tosi non ha mai amato. A guidare la sua lista civica è Andrea Miglioranzi, ex dirigente del Veneto Fronte Skinheads. In maggio la destra di Tosi umilia il centrosinistra con oltre il 60 per cento dei voti. Le opposizioni lo accusano di "clientelismo di stampo militare". Lui se ne infischia, anzi rivendica la sua squadra: il vero braccio destro Fabio Venturi, ex An; Paolo Paternoster, presidente dell'Agsm (elettricità e gas) e neo-segretario provinciale della Lega; Stefano Legramandi, numero uno dell'Amia (rifiuti e inceneritore); l'avvocato Giovanni Maccagnani, diventato l'uomo forte della Fondazione Cariverona; Stefano Zaninelli, capo dell'azienda dei trasporti e consigliere leghista delle Ferrovie dello Stato; e molti altri sparsi tra assessorati, ospedali e aziende comunali.
I potentati ex democristiani di Verona, all'inizio, lo vedono come un barbaro conquistatore. In pochi mesi Tosi stringe rapporti con Paolo Biasi, dominus della fondazione bancaria che è azionista di Unicredit, Carlo Fratta Pasini, presidente del Banco Popolare, e Paolo Bedoni, che dopo la Coldiretti ora guida la Cattolica Assicurazioni. E tra i finanziatori della sua campagna elettorale spunta la Mazzi Costruzioni, onnipresente nei cantieri cittadini. L'uomo del popolo ha scoperto il potere? "Parlare con le banche e gli imprenditori è mio dovere di sindaco", risponde Tosi: "Il problema è che sia un rapporto trasparente: io vedo tutti, ma cosa fare si decide in giunta".
Forte di un seguito riconosciuto anche da sinistra, il sindaco di Verona non perde occasione per smarcarsi dal berlusconismo. Intercettazioni? "Non si possono limitare le indagini della magistratura, al massimo certi abusi della stampa". Napolitano? "Un vero galantuomo, sta gestendo la crisi con eccezionale equilibrio". Il referendum elettorale? "Ha il sicuro merito di porre il problema: restituire il potere di voto ai cittadini".
Scavando nella vita privata, salta fuori che Tosi gioca tra gli amatori nel Rio Valli, una squadra di calcio dove gli immigrati "sono in maggioranza: africani e sudamericani". Ruolo? "Ala sinistra". Ci mancava pure questa: non teme che troppe uscite in libertà spingano qualcuno, in questa destra, a diffamarla con un bel dossier? Tosi si irrigidisce: "Voci ne girano... Ma senza fatti i dossier distruggono solo chi li fabbrica". E del mitico federalismo cosa resta? "La battaglia storica contro gli sprechi di Stato". Detto questo, fino a quando il ragioniere capo spiegherà al sindaco che Verona si è vista tagliare 13 milioni quest'anno e 30 nel 2012, Tosi continuerà a scendere in piazza con i sindaci. Contro il governo Berlusconi.