Da dove nasce la decisione dell'agenzia american di ridurre il rating sui nostri titoli di stato? Da una crescente sfiducia in questo governo e nella sua possibilità di imporre una svolta al Paese
di Luca Piana
6 ottobre 2011
"La scelta di Moody's era attesa. Il governo italiano sta lavorando con il massimo impegno per centrare gli obiettivi di bilancio pubblico". Martedì 4 ottobre il governo di Silvio Berlusconi ha reagito così alla decisione dell'agenzia americana di ridurre il rating sui titoli di Stato italiano. C'è un che di disfattismo in questa risposta. Moody's, che segue a ruota l'analogo verdetto di Standard & Poor's, aveva iniziato il proprio processo di valutazione il 17 giugno, esattamente 110 giorni prima della bocciatura.
A quell'epoca i mercati mostravano un giudizio sull'Italia migliore rispetto a quello della Spagna. Lo dice il differenziale di rendimento (lo spread, per usare il termine inglese) rispetto ai titoli governativi più affidabili dell'area euro, quelli tedeschi. In giugno i titoli spagnoli erano valutati peggio di quelli italiani. E questo giudizio era rimasto quasi intatto fino all'inizio di agosto, quando Roma e Madrid si sono ritrovate quasi appaiate. A fine agosto, però, è arrivata la svolta negativa che prima pochi si aspettavano.
La Spagna, un'economia con un tessuto industriale nemmeno paragonabile a quello italiano, una disoccupazione tripla (il 21,2 per cento in agosto rispetto al 7,9 dell'Italia, secondo gli ultimi dati armonizzati dell'Eurostat) e una crisi del mercato immobiliare che sta divorando ormai da anni i risparmi delle famiglie, ha iniziato a essere percepita in modo migliore. Oggi lo spread dei titoli di Stato spagnoli è di circa 40 punti più basso rispetto a quello dell'Italia.
La sintesi di un processo durato più di tre mesi l'ha fornita il ministro Giulio Tremonti: il fatto che Madrid vada meglio "dipende anche dall'annuncio delle elezioni anticipate, che di per sé dà una prospettiva di cambiamento e un'apertura al futuro", ha detto. Una delle sue tipiche frecciate, che in modo altrettanto tipico è stata poi in parte rimangiata: "Dicevo così per dire", ha aggiunto. In un periodo superiore ai cento giorni che bastarono a Napoleone Bonaparte per fuggire dall'isola d'Elba, scalzare Luigi XVIII, risollevare l'esercito francese e, infine, venire sconfitto a Waterloo, il governo Berlusconi non è riuscito a dare un segno sufficiente per ribaltare il giudizio internazionale, a dispetto della massiccia manovra finanziaria attuata, dei ripetuti voti di fiducia in parlamento e delle continue trattative con le autorità europee sui vari passaggi del pacchetto di consolidamento della finanza pubblica.
Lo dice con chiarezza Moody's, in una delle spiegazioni elaborate per articolare la propria decisione. Gli analisti dell'agenzia puntano il dito sulla crescente incertezza che il governo mostra nella propria capacità di raggiungere gli obiettivi del risanamento fiscale.
Dal momento che metà delle misure di consolidamento sono basate sulla crescita degli introiti tributari del governo, sostiene Moody's, i piani presentano un elevato tasso di vulnerabilità legato all'incertezza della crescita economia in Italia e nel resto d'Europa. "Inoltre il consenso politico su ulteriori tagli di spesa può essere difficile da costruire", continua l'analisi.
Le conseguenze possono essere negative, visto che potrebbe risultare impegnativo generare il surplus di bilancio necessario per far diminuire il costo degli interessi sul debito pubblico e il rapporto di quest'ultimo rispetto al Prodotto interno lordo (Pil). "Ci aspettiamo", dice Moody's, "che a fine anno il rapporto debito-Pil raggiunga il 120 per cento, rispetto al 104 di prima della crisi".